«Abbiamo guadagnato due mesi e non ce ne hanno dato atto per niente». La verità, fuori dai denti e dentro la battaglia del Pdl. La dice Fabrizio Cicchitto, un «governativo» che si oppone ai «lealisti»: «Chi ha seguito i lavori del senato sa che la decadenza doveva essere a ottobre, o a settembre, e se si è arrivati fin qui è il frutto di un’azione fatta dall’ala governativa, specialmente dal presidente Schifani». La rivendicazione ha una coda velenosa, perché restringe assai gli spazi per un’ulteriore proroga. Funziona come estremo avvertimento delle «colombe» al Cavaliere: ecco cosa guadagni a inseguire i «falchi». In serata Alfano conferma: «Merito nostro se siamo arrivati a novembre. E continuiamo a sostenere che Berlusconi è vittima di un’ingiustizia».

Ma a questo punto è il Pd che non può più concedere altri rinvii. Il gioco è scoperto: altro che dubbi di costituzionalità, pareri da chiedere, approfondimenti da fare. Il fuoco di fila sulla legge Severino serviva, era evidente, ad allontanare da Berlusconi un calice amaro che prima o poi andrà comunque bevuto. Mancano meno di due settimane al 27 novembre, data fissata per il voto dell’aula di palazzo Madama sulla decadenza. I democratici, con il responsabile giustizia Danilo Leva, si assolvono e insieme si impegnano: «Abbiamo sempre rispettato regolamenti e procedure, continueremo a farlo. Il principio di legalità non può essere sacrificato su nessun altare, è impensabile uno slittamento del voto».

Ancora più categorico il ministro per i rapporti con il parlamento Dario Franceschini, in tv ieri sera: «La data fissata è il 27 novembre, la legge di stabilità al senato per quel giorno dovrebbe già essere stata votata. Sono abbastanza sicuro che la data sarà il 27, e mi sfugge anche l’eventuale significato di un rinvio al 28 o al 29». Molto in effetti dipende dalla legge di stabilità. Non solo perché tiene bloccata l’aula del senato e non si può discutere di altro. Ma anche perché il governo ha interesse a portare a casa la finanziaria prima di sfidare i senatori «lealisti». Non dovrebbero essere sufficienti per far mancare la maggioranza, ma quando c’è in mezzo il destino di Berlusconi non tutti i comportamenti dei berlusconiani sono pienamente razionali e prevedibili. Un principio di prudenza potrebbe spingere ad aspettare anche il secondo passaggio a palazzo Madama della legge di stabilità, prima di votare la decadenza. Dunque il rinvio potrebbe essere di un paio di settimane.

Occorre però che il Pdl si inventi qualcosa all’altezza, e l’unica carta rimasta in mano ai berlusconiani dopo cento giorni di tira e molla è un’estrema richiesta di voto segreto. La giunta per il regolamento si è già espressa in favore del voto palese. Ma la procedura in aula prevede che il voto sulla decadenza venga chiesto da un ordine del giorno con il quale si intende respingere la proposta della giunta per le elezioni – che è quella di non convalidare l’elezione del senatore Berlusconi. Quell’ordine del giorno potrebbe essere firmato da un numero di berlusconiani, venti, sufficienti anche a chiedere il voto segreto in alcuni casi previsti dal regolamento. Tra i quali non sembra rientrare il voto sulla decadenza, ma per dare modo al presidente del senato di stabilirlo è possibile far passare altro tempo.