E adesso Silvio Berlusconi ha un solo modo per far votare il senato sulla sua sorte con il voto segreto: dimettersi. La giunta per le elezioni ha stabilito ieri a maggioranza stretta (sette contro sei) che la decisione sulla decadenza del Cavaliere condannato, prevista dalla legge Severino, non riguarda «la persona» ma «la corretta composizione dell’assemblea». Dunque voto palese, che significa esito negativo scontato per Berlusconi: sono per la decadenza (meglio, per la non convalida della elezione, perché il seggio che il Cavaliere ha occupato da marzo a oggi solo due volte non è stato ancora formalmente assegnato) quasi 200 senatori su 321. Un vantaggio che poteva essere messo in discussione solo dal voto segreto, quello dove diventano protagonisti i franchi tiratori. Berlusconi avrebbe potuto sperare nel soccorso di chi ha interesse a far precipitare la legislatura, come i renziani e la maggioranza dei grillini. Avrebbe avuto le elezioni anticipate che cerca e anche una pronuncia formale dell’aula contro la legge Severino, un bel precedente da giocarsi all’atto della presentazione delle liste.

A questo punto, invece, c’è un solo risultato possibile con il voto palese, ed è sfavorevole al condannato. E c’è una sola settimana per portarlo a casa in tempi decenti: la prossima. Poi l’attività ordinaria del senato lascia il posto alla sessione di bilancio. E c’è allora un solo colpo a sorpresa che può tentare il Cavaliere. Nel caso di dimissioni volontarie, infatti, l’aula potrebbe fissare il dibattito al più presto a dicembre. E il voto sarebbe sicuramente segreto, come sempre per le dimissioni. Ci sono infiniti precedenti, tra i quali quello di Previti che anche lui si dimise per evitare la «condanna» dell’aula. Quella però fu una resa, mentre Berlusconi dovrebbe presentare le dimissioni come un gesto di sfida, e per farlo avrebbe a disposizione un decisivo intervento in aula.
Ieri è stata la resipiscenza – di marca renziana – della senatrice di scelta civica Linda Lanzillotta a far decidere per il voto palese. Formalmente non una modifica del regolamento, ma secondo la formula bizantina che si è imposta una «interpretazione», visto che si tratta di applicare la legge sulla decadenza per la prima volta. Secondo le reazioni immediate e traboccanti del Pdl è stata comunque «una pagina buia, una mascalzonata, uno sfregio, un sopruso, una vergogna, uno scempio, un’aggressione, una brutale violenza, una bestialità, un’orribile nefandezza, un atto squadristico, un golpe, una ghigliottina, una guerra civile, un’ordalia». L’allarme è lo stesso, parlino le «colombe» o minaccino i «falchi», solo pochi governisti a oltranza si preoccupano di invitare il Pdl a «non cadere nella provocazione del Pd».

Ma a otto mesi dalle elezioni e a tre dalla condanna definitiva in Cassazione di Berlusconi, gli spazi per le manovre di rinvio sono quasi del tutto esauriti. Venti senatori potranno comunque tentare di chiedere il voto segreto sulla base del comma quattro dell’articolo 113 del regolamento, che però prevede questa possibilità solo in un limitato numero di casi tra i quali non rientra la decadenza. Il Pdl potrebbe però sostenere che si tratta di un caso che va contro l’articolo 25 della Costituzione, che impone la non retroattività delle leggi – del resto contro la Severino lo stanno dicendo da mesi. Il presidente Grasso, sotto attacco del centrodestra e alla ricerca di una tregua, potrebbe al limite investire di nuovo della questione la giunta per il regolamento, o più probabilmente decidere lui stesso, magari resuscitando il voto segreto. Nel frattempo la conta su Berlusconi sarebbe comunque rinviata alla fine della sessione di bilancio, ossia a dicembre. Allora le firme di venti senatori serviranno comunque, in calce all’ordine del giorno con il quale il Pdl chiederà di respingere la relazione della giunta per le elezioni, quella che ha formulato la proposta di far decadere Berlusconi. E che altrimenti sarebbe da considerare accolta dall’aula come recita il regolamento, un po’ il campo dell’ultima battaglia del Cavaliere.