Prima la legge di stabilità, poi il voto sulla decadenza di Berlusconi. Al senato Pd, Pdl e Scelta civica hanno trovato facilmente l’intesa, fissando la seduta che si annuncia senza speranze per il Cavaliere al 27 novembre. Intesa minima che vale solo come punto di partenza. Berlusconi ai governativi di Alfano aveva chiesto un rinvio molto più lungo, condizione per non scatenare la crisi. E d’altra parte non è affatto sicuro che la legge di stabilità a fine novembre avrà terminato il percorso a palazzo Madama, e se pure l’avesse fatto è probabile che debba tornarci, dopo le modifiche della camera. Allora è sconsigliabile cerchiare la data del 27 sul calendario, non sarà quel giorno che Berlusconi dovrà lasciare il parlamento che frequenta dal 15 aprile 1994.

La tregua, momentanea, nel Pdl si fondava su una promessa dei «ministeriali» al Cavaliere: non votare la decadenza prima della fine dell’anno. Il rinvio effettivamente c’è stato – prima Sel poi i 5 Stelle hanno fatto notare come ci sarebbe tutto l’aggio di votare su Berlusconi questa o la prossima settimana – ma il risultato della conferenza dei capigruppo di ieri non ha soddisfatto l’ex presidente del Consiglio. I lealisti del Pdl non hanno perso tempo a demolire il compromesso: «Il Pd vuole cacciare Berlusconi il giorno dopo l’approvazione della legge di stabilità», ha avvertito Sandro Bondi. «Come si può continuare a sostenere il governo?», si è chiesto il capo dell’ala dura, Raffaele Fitto. L’obiettivo dei lealisti non è però quello di allontanare ulteriormente il voto sulla decadenza, al contrario vorrebbero anticiparlo, così da sancire la rottura e aprire la crisi. Spiegano a Berlusconi che conviene sfidare subito il Pd avendo ancora carica l’arma della sfiducia sulla legge di stabilità (con annessa propaganda anti tasse).

Ma i senatori «tendenza Alfano» (riuniti ieri sera dal vicepremier) hanno ancora qualche carta da giocare per far slittare il voto – oltre a tirarla lunga con la finanziaria. Hanno cominciato ieri a mettere in discussione l’esito della giunta per le elezioni del 4 ottobre, quando fu deciso a maggioranza di proporre all’aula la decadenza di Berlusconi. Si tratta degli ormai celebri commenti via facebook e twitter che il senatore grillino Crimi e poi anche altri senatori hanno pubblicato nel corso della camera di consiglio, quando in teoria ogni contatto con l’esterno deve essere interrotto. Interrotto non era, anche se l’attività dei senatori grafomani può sempre essere delegata ai portavoce o ai timer, visto che le uscite di Crimi furono immediatamente conosciute – e dibattute – in camera di consiglio. Su queste (fragili) basi il Pdl fonda la sua richiesta di annullamento della giunta e dunque della proposta di decadenza di Berlusconi. Difficile che ci riesca, ma certo Crimi ha finito col dare una mano al Cavaliere. Oggi si occuperà del caso il Consiglio di presidenza del senato, che deve innanzitutto decidere se può decidere sulla materia. In sintesi: si fa melina.

Un’altra carta il Pdl la calerà solo all’ultimo minuto, il 27 novembre o quando sarà. Almeno venti senatori rinnoveranno la richiesta già fatta da ventidue «colombe» al presidente Grasso per votare la decadenza con scrutinio segreto. Che è il contrario del parere licenziato dalla giunta per il regolamento, ma l’aula e magari di nuovo la giunta dovrebbero comunque occuparsene, facendo slittare la conta.

Di rinvio in rinvio, Berlusconi spera di arrivare al giorno in cui sarà effettivamente affidato ai servizi sociali, che però dovrebbe essere ancora lontano (fine inverno). Gli hanno spiegato che per sperare nella grazia bisogna aver almeno cominciato a scontare la pena. E il Cavaliere continua a ritenere doveroso un gesto di clemenza del Colle, magari quella commutazione della pena che potrebbe sterilizzare gli effetti della legge Severino. «Napolitano è ancora in tempo», dice l’ex premier nelle anticipazioni del libro di Vespa, dove si legge anche che ad agosto il capo dello stato aveva lasciato sperare gli ambasciatori di Arcore.