C’è qualcosa di paradossale nel dedicare una mostra, in un luogo estremamente istituzionale e dall’architettura spettacolare, a Guy Debord, poeta, artista, pensatore rivoluzionario, direttore di riviste, regista, personaggio difficilmente inquadrabile, autore del notissimo «La società dello spettacolo» (1967). A questo esercizio da equilibristi si dedica la Bnf (Bibliotèque nationale de France – sito François Mitterrand), con una mostra, fino al 13 luglio, Guy Debord, un’arte della guerra, realizzata per presentare per la prima volta al pubblico il Fondo Debord, acquisito dalla Biblioteca nazionale nel 2011, dopo che nel 2009 il Journal officiel (la Gazzetta Ufficiale francese) l’aveva classificato «tesoro nazionale». Il Fondo è stato comprato dalla Bnf, grazie al mecenatismo, alla vedova Alice Debord, per un milione di euro (la Bnf era in competizione con l’università di Yale).
Il percorso della mostra è cronologico e permette di entrare nel mondo dei due movimenti di avanguardia di cui fu iniziatore, l’Internazionale lettrista (1952-57) e l’Internazionale situazionista (1957-72), attraverso manoscritti, volantini, manifesti, documenti di preparazione di film, fotografie, testi, qualche quadro, in particolare di Asgen Jorn, che ha fondato ad Alba, nel 1953, un Laboratorio sperimentale con Giuseppe Pinot-Gallizio. Sono esposti anche tre quaderni originali della prima stesura della Società dello spettacolo.
La rassegna ruota attorno a due centri: il gioco della guerra e le schede con gli appunti di lettura di Guy Debord. Inseriti in lunghe colonne di plexiglas appese al soffitto, ci sono circa seicento foglietti (sui mille e quattrocento presenti nel Fondo) di schede di lettura, che testimoniano della sua relazione con il passato. Una sorta di biblioteca ideale, da cui Debord traeva ispirazione e frasi, destinate a essere détournées. Lui che diceva: «per saper scrivere, bisogna aver letto. E per saper leggere, bisogna saper vivere»; poi, affetto da polinevrite alcolica, morrà suicida nel 1994, per evitare di subire le conseguenze fisiche dei suoi eccessi.
Debord aveva suddiviso tematicamente queste schede di lettura, aveva riportato le frasi che pensava di riutilizzare, ai margini, a volte, aveva sottolineato: «dét» (per détournement). Shakespeare, Machiavelli, Trotsky, Châteaubriand, Lautréamont, Cervantes, Sterne, Marx, Hegel (che aveva scritto nella Fenomenologia dello spirito «il falso è un momento del vero» e che nella Società dello spettacolo di Debord diventa «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso»).
Un terzo di queste schede di lettura riguardano libri di strategia e di storia militare. Tra gli autori che più hanno interessato Debord c’è Clausewitz. Prendendo a spunto delle sue note, Debord crea Il gioco della guerra, che rappresenta l’altro punto centrale della mostra. Nell’ultima sala è esposto un esemplare del Gioco della guerra, una specie di scacchiera composta da trentaquattro pedine stilizzate, a cui aveva cominciato a lavorare dal 1956. Si tratta di un gioco di strategia, di cui aveva depositato il copyright nel 1965. «Lo scopo di ogni campo è la distruzione del potenziale militare dell’altro – è scritto nelle regole -. Il risultato può essere ottenuto sia attraverso la distruzione di tutte le unità combattenti, sia attraverso la conquista dei due arsenali del nemico». Una strategia alternativa «consiste nel paralizzare l’esercito nemico tagliando le sue linee di comunicazione», spiega uno dei curatori della mostra, Emmanuel Guy.
In questo gioco c’è tutto Debord: ludico e serio a un tempo, impegnato in una strategia di guerra di movimento contro tutte le falsità della società dei consumi, dove lo spettacolo governa le nostre vite, alimentato dal potere, dai media, dalla cultura stessa, recuperando incessantemente ogni contestazione che la società capitalista rimodella a sua immagine. Il gioco bellico è anche quello che Debord ha portato avanti all’interno dell’Internazionale situazionista, con le numerose espulsioni, e contro gli apparati burocratici, dei partiti e sindacati, che vedeva all’opera anche nel ’68.