Tornare a Giacomo Debenedetti significa ogni volta e innanzitutto misurare il pieno e il vuoto lasciati da un maestro che seppe circostanziare la critica in uno spazio e in un punto di non ritorno – una corda tesa fino quasi a spezzarsi, un fascio di nervi sensibilissimo, un orecchio assoluto –, per quanto attiene alle risultanze analitiche e diagnostiche e nondimeno, in specie negli anni estremi del magistero, etiche, si direbbe regolate dalle vibrazioni allarmate dal diapason interiore di un sentimento tragico, laddove pare che l’opacità del futuro, la sua sostanziale illeggibilità, non può che trasformare quel discorrere in una...