In altri tempi, lo si chiamava crepacuore. Il suo secondogenito, commentando la scomparsa improvvisa di Debbie Reynolds, avvenuta nel corso dei preparativi del funerale della figlia Carrie Fisher, lo ha definito stress: «È stato troppo per lei» ha detto Todd Fisher alla Associated Press dopo aver annunciato la morte della madre, trasportata d’urgenza al Cedar-Sinai Medical Center di Los Angeles mercoledì pomeriggio, dopo che era stata colpita da un ictus.

 

 

 

 

Reynolds aveva ottantaquattro anni, la sua immagine di fidanzata d’America ancora viva negli occhi di tutti anche grazia alla tenacia ferrea con cui questa figlia di un ferroviere e di una lavandaia, nata nel Texas della grande depressione, ha sempre coltivato il suo rapporto con il pubblico – apparendo regolarmente in occasione dei tributi che le venivano dedicati molto spesso qua e là negli States; sui palcoscenici di Las Vegas, dove negli anni sessanta era «la ragazza» del Rat Pack di Sinatra, Lawford, Martin e Sammy Davis Jr. e negli anni ottanta aveva aperto un hotel/casino/museo; e persino via social media: prima che i portavoce di famiglia annunciassero ufficialmente la morte di Carrie Fisher, era Reynolds, via twitter, che dava notizie sulle condizioni di salute di sua figlia. «Sono on tour quarantadue settimane all’anno. Quindi mi è difficile ricordare tutti i posti dove canto – Myrtle Beach in Florida, l’Oklahoma, Denver…Il mio business è lo show business. E, come diceva Irving Berlin -non c’è business come lo show business. E io ne farò parte fino a quando non cado morta e mi imbalsamano come hanno fatto con Trigger (il famoso cavallo dei western di Roy Rogers; n.d.r.)», aveva detto Reynolds al sito Rotten Tomatoes nel 2009.

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Tra le sue ultime apparizioni pubbliche, nel gennaio 2015, quella in occasione del premio alla carriera conferitole dalla Screen Actors Guild, il sindacato degli attori. I suoi preparativi ripresi dietro alle quinte dalla troupe del documentario Bright Lights era stata un’apparizione faticosa, ma alla fine, ce l’aveva fatta, grazia anche all’aiuto di sua figlia Carrie – alla quale prometteva che ogni concerto a Vegas sarebbe stato «l’ultimo». Per poi invece metterne in cantiere subito uno successivo. In altre immagini del documentario la si vede, dopo un concerto in Nevada di pochi anni fa, scendere tra il pubblico adorante, (lasciati i tacchi indietro sul palco) a piedi scalzi, lo spacco fino all’inguine, il giacchino di lamè, la parrucca biondo cenere. Perfetta.

 

 

 

 

 

 

Non è un caso che, insieme alla sua apparizione al fianco di Gene Kelly, in Singin’ in the Rain, a soli diciannove anni, uno dei suoi film più famosi rimanga The Unsinkable Mollie Brown, il musical di Charles Walters, tratto da un successo di Broadway e dedicato alla mitica «inaffondabile» sopravvissuta del Titanic: Reynolds era fatta di quella stoffa indistruttibile dello spettacolo USA, di cui Jerry Lewis rimane uno dei pochi sopravvissuti – una stoffa il cui rapporto, intensissimo, con il pubblico è una condizione esistenziale che si gioca soprattutto sulla scena, nell’atto della performance. In questo rapporto, così viscerale e prefabbricato allo stesso tempo, in cui la celebrity rimane un’ideale, Reynolds incarnava la grande stardom del passato, in opposto a quella confessionale, accessibile, di sua figlia.

 

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Oltre ai riccioli biondi, agli occhi azzurri, al naso all’insù e ai ruoli leggeri e/o comici che prediligeva nei molti film realizzati specialmente per la MGM, il suo ruolo di fidanzata d’America (e quello con il pubblico) è stato cementato dallo scandalo scoppiato quando il marito Eddie Fisher la lasciò per Elizabeth Taylor – simbolo più dark, conturbante, sensuale della Hollywood anni cinquanta, con cui la «girl scout» Reynolds torno ad essere amica una decina d’anni dopo. Nel 2001, le due attrici interpretarono insieme These Old Broads, cosceneggiato da Carrie Fisher. Tra i suoi film più belli, la commedia crudele Mother, diretta da Albert Brooks. Una delle poche attrici hollywoodiane ad aver ballato sia con Fred Astaire che con Gene Kelly, Debbie Reynolds descrisse Singinin’ the Rain e i suoi due parti come le cose più difficili che aveva mai fatto. Leggenda vuole che un giorno che Kelly era stato particolarmente duro nei suoi confronti, Astaire la trovò piangente nascosta sotto un pianoforte.