Il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è una misura estrema, che fa giustamente paura: evoca violazione delle libertà personali e persino contenzione e violenza. Istituito nella nostra Repubblica dalla legge 180/78, al fine di salvaguardare la salute del malato psichico che non è consapevole delle proprie condizioni ed è dunque momentaneamente incapace di intendere e volere, il Tso è previsto dalla Costituzione (art.32), che però lo subordina a eventuali disposizioni di leggi che affrontino i diversi ambiti sanitari. È regolato dagli articoli 33, 34 (nel caso della salute mentale) e 35 della riforma sanitaria, l. 833/78. Ma, come avveniva prima della legge Basaglia, si sono altri ambiti che prevedono il Tso a tutela, questa volta, della salute pubblica.

Nel caso delle malattie infettive e diffusive, come la tubercolosi, il trattamento è regolato dal testo unico delle leggi sanitarie (ex. art. 253 l. 1265/1934) che istituisce «l’obbligo di notifica, di visite preventive, di vaccinazione a scopo profilattico, di cura attuata mediante l’isolamento domiciliare, ricovero in reparti ospedalieri ecc.», come spiegano Michele Zagra e Antonina Argo in Medicina legale orientata per problemi pubblicato da Edra. Nel saggio del 2018 i docenti ricordano che il Tso è previsto anche nel caso di malattie veneree in fase contagiosa «di cui all’art. 6 della legge n. 837 del 25/07/1956, per le quali si obbliga il paziente che rifiuta le cure a sottoporsi al trattamento radicale e alle altre misure idonee per evitare il contagio, incluso il ricovero ospedaliero fino alla scomparsa delle manifestazioni contagiose».

Eppure, l’intreccio di norme che regolano l’Accertamento e il Trattamento sanitario obbligatorio è talmente intrigato che perfino il ministro Speranza ha dato mandato ai tecnici del suo ufficio legislativo di studiare il quadro normativo per verificare se esiste la necessità di una nuova legge che imponga il Tso in casi di Covid conclamato e rifiuto della quarantena. Ma c’è anche chi si schiera assolutamente contro qualunque tipo di imposizione sanitaria, invocando semmai il ritorno alle sanzioni penali e confidando nella solita galera.

In ogni caso, poiché si tratta di provvedimenti limitativi della libertà personale, ne abbiamo parlato con Daniela De Robert, componente del collegio del Garante nazionale diretto da Mauro Palma.

Daniela De Robert, membro del collegio del Garante nazionale delle persone private di libertà

Secondo lei c’è bisogno di un intervento normativo, nel caso si volesse imporre il Tso per il Covid-19?

Qui bisogna fare chiarezza. Ci sono due tipi di Tso: con privazione della libertà e senza. Se si mette in gioco la libertà personale, come nel caso di un Tso psichiatrico, si entra nel campo dell’articolo 13 della Costituzione e quindi dei poteri dell’autorità giudiziaria. Ma ci sono Tso come le vaccinazioni che non prevedono privazioni di libertà personale. Quindi direi che il Tso è previsto in casi come questa pandemia in base all’articolo 33 della legge 833, ma bisogna decidere come attuarlo. Se si intende procedere con quarantena obbligatorio, con piantonamento del paziente, ecc. allora si tratta di un arresto per ragioni sanitarie e serve la convalida dell’autorità giudiziaria. Se invece al «positivo recalcitrante» si applica il Tso non coercitivo, un obbligo di dimora ma senza privazione della libertà, magari aumentando le multe o applicando contravvenzioni che finiscono sulla fedina penale, si entra nel campo dell’isolamento fiduciario basato sulla cosiddetta compliance (adesione al trattamento, ndr), che funziona meglio. Insomma, se si decide di farlo, va definito il come. Per il Garante è discriminante sapere se c’è o no privazione della libertà personale.

Nel caso ci fosse, sareste contrari?

In generale riteniamo che la privazione della libertà sia l’estrema misura, preferiamo sempre l’alternativa, se c’è. Nello spirito dell’art. 32 della Costituzione, il legislatore deve trovare il giusto equilibrio tra la tutela della salute collettiva e le libertà individuali.

E in questo caso particolare?

Si può trovare una modalità di trattamento obbligatorio ma non coercitivo. Si tratta di misure estreme e c’è il rischio di trasformare tutto in imposizione. Inoltre qui parliamo di un comportamento non molto diffuso, a quanto sembrerebbe.

C’è però chi chiede di applicare piuttosto sanzioni penali, ma di non toccare la libertà di cura o non cura. Lei cosa ne pensa?

Riguardo le sanzioni penali, di quale tipo di reato stiamo parlando? Nel caso di diffusione volontaria o colposa dell’epidemia il codice penale prevede già il reato. Di evasione? Non è contemplato neppure nei centri per migranti. E allora? In ogni caso non è possibile che tutte le soluzioni siano penali. Abbiamo carceri piene di persone che se fossero state intercettate prima dai servizi forse non sarebbero finite in carcere. Non possiamo trasformare ogni problema sociale in un reato. Inoltre, con i tempi della nostra giustizia cosa ne otteniamo? L’esigenza di tutelare la collettività oggi passerebbe in secondo piano, e rimarrebbe solo la punizione domani. Il carcere produce solo altri problemi, non è la bacchetta magica. Meglio il Tso oggi, semmai, se voglio garantire la salute di tutti.