All’imbrunire la smentita di Federico Ghizzoni, ex ad di Unicredit, non è ancora arrivata. Forse il segnale più allarmante per Maria Elena Boschi e per Matteo Renzi è questo. Perché la bomba sganciata da Ferruccio De Bortoli nel suo libro Poteri forti (o quasi) campeggia sin dal primo pomeriggio nell’anticipazione offerta dall’Huffington Post: «Maria Elena Boschi chiese a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria». Cioè della banca a un passo dal tracollo di cui il padre dell’allora ministra delle Riforme, oggi sottosegretaria alla presidenza del consiglio, era tra i dirigenti, quella della quale la medesima ex ministra ed eterno braccio destro di Renzi ha sempre giurato di non essersi occupata.

Ci sono altre accuse pesanti nell’anticipazione del libro dell’ex direttore del Corriere della sera, in particolare a proposito di possibili trame massoniche dietro l’affaire Etruria, ma è ovvio che l’ordigno nucleare sia la chiamata in causa di Maria Elena Boschi. Sia per il ruolo anomalo che, se De Bortoli ha ragione, avrebbe avuto nella vicenda, sia per le bugie che avrebbe raccontato.

La reazione della sottosegretaria è stata durissima: «Non ho mai chiesto a Ghizzoni né ad altri di acquistare Banca Etruria. Sfido chiunque e ovunque a dimostrare il contrario. E siccome sono stupita per questa ennesima campagna di fango, ho affidato la pratica ai legali». Ma questa era in tutti i sensi una mossa dovuta e inevitabile. Per il resto la difesa corale del Pd, in parte fatta propria anche da Boschi, è tra le più goffe. Dal vicesegretario Guerini al capo dei deputati Rosato in giù tutti ripetono lo stesso ritornello, tanto da autorizzare il dubbio di un ordine di scuderia: «M5S strumentalizza per nascondere le difficoltà sui rifiuti a Roma», «I 5S pensino a governare e non a fare i pm», «Vergognosa strumentalizzazione di M5S per cancellare i problemi a Roma e Palermo». M5S è in effetti andato giù con la massima durezza. Di Battista e Di Maio affermano che «Boschi dovrebbe dimettersi all’istante» altrimenti «la costringeremo a venire in aula con una mozione di sfiducia. M5S non molla». Il blog di Grillo rincara: «Valuteremo possibili azioni sul fronte giudiziario».

Ma non è solo il movimento di Grillo a mitragliare. Lo fanno tutte le opposizioni. Lo fa Salvini per la Lega, «Boschi si dimetta subito», lo fa il capogruppo alla Camera Marcon per Sinistra italiana, «Aspettiamo da palazzo Chigi parole chiare e inequivocabili», lo fa la sorella d’Italia Giorgia Meloni: «Avrebbe già dovuto dimettersi cento volte». Non lascia spazi neppure Mdp, che al Senato è componente decisiva della maggioranza: «Se non c’è chiarezza l’unica strada sono le dimissioni», dichiara Roberto Speranza. Tra tutte le opposizioni, spicca il silenzio di Forza Italia, impegnata in una trattativa serrata col Pd sulla legge elettorale. Ma è difficile immaginare che la reticenza del partito azzurro possa prolungarsi troppo.

Ma il problema non è quanto violento e quanto folto sia l’attacco delle opposizioni. Il punto dolente non sono le reazioni alle affermazioni di De Bortoli, ma la gravità della sua accusa. Dietro il coro di dichiarazioni fotocopia del Pd non è difficile intravedere una strategia chiara: spostare l’attenzione dalle accuse del giornalista alla «strumentalizzazione» in particolare dell’M5S, più sospettabile degli altri di mirare solo a coprire le proprie magagne, e derubricare le affermazioni di De Bortoli a un contenzioso legale sul quale dovranno decidere un domani i giudici. Tutto insomma si ridurrebbe a una decisione sull’a chi credere, come dice il ministro Delrio: «Tra De Bortoli e Boschi io credo alla Boschi».

Unicredit non commenta, fonti anonime negano pressioni ma non sondaggi e tentativi.

Proprio per questo la sola parola che possa fare almeno in parte chiarezza è quella dell’unico testimone, citato dal giornalista con nome e cognome: l’ex ad di Unicredit.