Voterà Pd, «l’unica offerta di governabilità», anche se è «deluso» da Renzi e non ha mai avuto la tessera numero uno del partito democratico: «Era solo una battuta fatta a Veltroni e Rutelli».

Carlo De Benedetti ne ha per tutti nel corso di una assai vivace intervista con Lilli Gruber ieri sera a Otto e Mezzo. Innanzitutto ne ha per i «suoi»: Repubblica e Eugenio Scalfari.

Scalfari, è «un signore molto anziano non più in condizione di sostenere domande e risposte. Nel ’75 cercava soldi per fare Repubblica, io facevo il presidente degli industriali in Piemonte e gli ho dato 50 milioni con totale sfiducia. Quindi sono stato fondatore di Repubblica. Poi a metà anni Ottanta quando Scalfari e Caracciolo erano tecnicamente falliti io misi 5 miliardi per salvarli e diventai azionista. Poi ho dato un pacco di miliardi a Eugenio quando ha voluto essere liquidato dalla sua partecipazione, e allora Scalfari parli pure del papa e di Draghi e di tutto quello che lo diletta ma non parli di me, è un ingrato».

È noto che a dividere l’ingegnere e il fondatore di Repubblica ultimamente è stata la frase di Scalfari che tra Di Maio e Berlusconi ha detto di preferire il Cavaliere. Mentre secondo De Benedetti «se uno non ha problemi di vanità a una domanda del genere risponde che non sceglie né l’uno né l’altro».

Scalfari ha fatto sapere che «se ne fotte» dei rimproveri di De Benedetti.

L’ingegnere a Gruber ha rivelato che «il giorno dopo quella stupidaggine di Scalfari mi ha chiamato Berlusconi». Era molto tempo che i due arcinemici non si sentivano. «Mi ha detto “parliamoci, tu sei di sinistra e io no, i comunisti non ci sono più, la guerra è finita ma qui esistono altri problemi per il paese”. Perché secondo il suo metodo Scalfari aveva parlato per un input partito da me, non poteva pensare che fosse un’idea di Eugenio. Gli ho risposto che lui fa politica e io no e non c’era niente da dirsi».

Carlo De Benedetti a giugno scorso ha lasciato al figlio Marco la presidenza del consiglio di amministrazione di Gedi (la nuova società nata dalla fusione del gruppo Espresso con l’editrice della Stampa) e adesso dice che «Repubblica ha perso la sua identità, per 40 anni la politica italiana si è fatta sulle sue pagine e adesso non è più così perché evidentemente non interessa», mentre al direttore Calabresi manda un messaggio non precisamente amichevole. «Come ha scritto Manzoni il coraggio se uno non lo ha non se lo può dare».

Un pezzo della trasmissione è stato necessariamente dedicato alla vicenda dell’aquisto delle azioni delle banche popolari dopo il colloquio con Renzi, operazione che ha garantito a De Benedetti un buon ritorno economico.

«La riforma delle popolari era un segreto di Pulcinella, Renzi mi ha semplicemente detto quella cosa la faremo, senza usare la parola decreto».

Finale dedicato alla paura per i 5 Stelle: «Se Di Maio con il suo curriculum diventasse premier sarebbe un disastro per il paese, lo scenario peggiore. Non penso che accadrà perché la legge elettorale favorisce le alleanze e dunque Berlusconi. Ma se accadesse ha ragione mille volte Berlusconi: bisogna scappare».

Scalfari non aveva detto cose troppo diverse.