Ventitré anni trascorsi dalla sua scomparsa, tanti quanti ne aveva vissuti sul palco. Dall’inquieto debutto alla Bussola di Pietrasanta (1975) all’ultimo concerto di Roccella Ionica, agosto ‘98, già aggredito dal male. Se di solito si fruga negli archivi in cerca di musica inedita, le vecchie registrazioni live di Fabrizio De André riportano alla luce i suoi discorsi, trascritti e raccolti per Arcana da Laura Monferdini, responsabile dello spazio museo di via del Campo. «Non c’è volontà di interpretazione dei testi, né di trovare nuovi significati alle sue canzoni» dichiara, «perché non c’è altro che si possa aggiungere. Fabrizio ci ha già rivelato tutto». Sembra di rivedere la lampadina che rischiara il leggio, i testi scritti a mano, la sigaretta sempre accesa. Sembra di riascoltare il parlato schietto dei primi anni e l’elegante eloquio della maturità, l’analisi lucida e mai scontata, i duelli dialettici con la platea. Come all’esordio versiliano, rispondendo alla contestazione: «Se io sono venduto, tu mi hai comprato!». Come l’ultima sera, dopo le sue frasi sulla ‘ndrangheta che dà lavoro. «Non ti sembra di esagerare?» obietta qualcuno. «Col cazzo che esagero». Parola di Faber.