Sono bastati due minuti e poche parole a Mario Draghi per replicare all’attacco portato dal Vaticano al ddl Zan: «Il nostro è uno Stato laico, non uno Stato confessionale», ricorda il premier parlando nel pomeriggio al Senato. Un modo per ribadire l’autonomia del parlamento che deve essere «libero di discutere e legiferare» anche perché, spiega, «il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa».

Concetti che dovrebbero essere scontati, ma che Draghi utilizza per mettere i puntini sulle «i» garantendo – a chi Oltretevere si è detto preoccupato che la legge contro l’omofobia possa limitare la libertà d’espressione – che non esiste nessun pericolo in tal senso. E non solo perché tra i compiti delle commissioni parlamentari c’è anche quello di verificare la costituzionalità delle leggi che vengono discusse, ma anche perché esiste un successivo controllo da parte della Consulta. «Voglio infine precisare una cosa che si ritrova in una sentenza della Corte costituzionale del 1989 – è la conclusione del premier -: la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali».

Nei programmi l’intervento di ieri in parlamento sarebbe dovuto servire al premier per illustrare i contenuti del consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles. E per buona parte del tempo è di questo che si è parlato, di immigrazione, politica estera e clima. Il riferimento al ddl Zan arriva solo nella replica finale. Draghi sceglie di affrontare la questione a Palazzo Madama e non alla Camera, dove si è recato al mattino, perché è lì che la legge è ferma da mesi, bloccata dall’ostruzionismo della Lega. Un intervento studiato e limato fin da martedì mattina, quando la nota ufficiale della Santa Sede, presentata ufficialmente il 17 giugno, sebbene con un insolito ritardo è diventata pubblica. Al mattino, anche il presidente della Camera Roberto Fico era intervenuto per respingere ogni «ingerenza»: «Il parlamento è sovrano», aveva detto. «I parlamentari decidono in maniera indipendente. Il ddl Zan è già passato alla Camera, ora è al Senato e noi non accettiamo ingerenze».

Come due giorni fa la nota del Vaticano aveva dato forza agli oppositori della legge contro l’omofobia, le parole di Draghi ieri hanno avuto l’effetto di rendere più saldo il fronte dei sostenitori della legge: «Ci riconosciamo completamente nella parole di Draghi in parlamento sulla laicità dello Stato e sul rispetto delle garanzie», scrive su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta. «La sottolineatura de presidente Draghi chiude una discussione ideologica: il parlamento è sovrano. Si vada avanti con il ddl Zan», ribadisce il senatore dem Andrea Marcucci. E apprezzamento alle parole del premier arriva anche dalla senatrice di LeU Loredana De Petris, che ricorda un altro passaggio dell’intervento fatto al Senato: Draghi ha fatto benissimo a ricordare che è il parlamento e non il governo a dover decidere sul ddl Zan, che oltretutto è una legge di iniziativa parlamentare».

Un nuovo tentativo di sbloccare la legge si è avuto ieri sera durante la riunione dei capigruppo del Senato. Pd, LeU, Autonomie e M5S hanno chiesto di interrompere i lavori in commissione Giustizia e di portare il testo in aula senza relatore. Richiesta alla quale si associa anche Italia viva, sebbene nelle ultime settimane il partito di Renzi abbia più volte aperto all’ipotesi di un tavolo con la Lega per valutare eventuali modifiche al testo. Carroccio e Fratelli d’Italia si sono opposti chiedendo anzi di bloccare l’iter della legge in attesa che del parere della commissione Affari costituzionali. Alla fine niente accordo. La riunione dei capigruppo ha deciso di aggiornarsi al 6 luglio. In quella data l’Aula di Palazzo Madama sarà chiamata a votare sulla calendarizzazione richiesta dalle ex forze della maggioranza giallorossa che vogliono il ddl Zan in Aula nella settimana del 13 luglio.