Già Roberto Ciccarelli e Raffaele K. Salinari hanno criticato, su queste pagine, l’approccio ideologico dell’ultimo rapporto Censis, che ha rafforzato un discorso pubblico – spinto dall’informazione mainstream – in cui l’indice è continuamente puntato contro l’«irrazionalità», ridotta a macchietta complottistica, se non a eversione terroristica, di chi non si vuole vaccinare o critica la logica del green-pass, ma soprattutto di chi rifiuta di aderire gioiosamente a un sistema economico e politico che sarebbe una sorta di migliore mondo possibile di panglossiana memoria.

Credo si debba insistere, anche perché la faccenda di un popolo che sarebbe preda di credenze idiote e pericolose contraddice persino, alla fine, molte delle notazioni critiche che lo stesso rapporto Censis offre a una più sorvegliata riflessione.

Ma come si fa a mettere insieme, sullo stesso piano, le opinioni di quella maggioranza convinta che «il potere reale è concentrato, in modo non pienamente democratico, nelle mani di un gruppo ristretto di potenti, composto da politici, alti burocrati e uomini d’affari», che «le grandi multinazionali sono le responsabili di tutto quello che ci accade» e che esiste «una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto» con chi pensa invece ( il 5,9 per cento) che il Covid «non esiste», o (il 5,8 per cento) che addirittura la Terra sia piatta?

Che il potere reale sia concentrato nelle mani di troppo pochi, i quali in genere stanno dalle parti dei più ricchi, sia al livello degli Stati sia su scala globale, mi sembra una opinione abbastanza vicina al vero, al di là dei termini con cui è formulata. Sono un «complottista» privo di senno anch’io?

Non escludo che il mio senno ormai stia venendo meno, tuttavia alcune altre notazioni del Censis hanno colpito quella che percepisco come un residuo di «razionalità», aiutata da qualche pulsione sentimentale, nel mio essere corpo-mente.

Italiani e italiane pensano (in percentuali intorno all’80 per cento) che si stia peggio che in un passato non troppo lontano, che il lavoro – quando c’è, e molto spesso non c’è – generalmente è brutto e quasi sempre molto mal pagato, che la vita delle persone più giovani è precaria e il loro futuro sempre più incerto.

Tutte opinioni purtroppo razionalissime e confermate dalle ricche tabelle del rapporto. Il nostro paese è agli ultimi posti in Europa per livelli salariali, occupazione, e specialmente penalizzate sono le donne. Ma questo ha fatto ovviamente meno notizia dei troppi terrapiattisti.

Forse sono dati che contrastano troppo con l’immagine di un’Italia che finalmente sta riconquistando il posto che le compete nel mondo, veleggia con il Pil a più del 6 per cento, godrà di tutti i finanziamenti del mitico Pnrr, grazie soprattutto al ruolo salvifico del suo attuale presidente del Consiglio, del quale si vorrebbe poter sdoppiare la persona, affinché un doppio ma magicamente unico corpo politico potesse occupare sia la presidenza del governo che quella della Repubblica.

Naturalmente non ho niente contro Draghi. Mi sembra una persona colta e spiritosa, a suo modo. Che certamente svolge al meglio il difficile compito che si è assunto. Condivido persino la preferenza per lo spritz al Campari, rispetto al dolciastro Aperol.

Potrei, nel mio piccolo, avere idee diverse su come andrebbe pensato e magari cambiato il mondo. Ma soprattutto credo che tutta questa solerzia mediatica nei suoi confronti alla fine non giovi nemmeno a lui, e al suo esecutivo.

Sbaglierò, ma ha il sapore di quegli innamoramenti politici all’italiana, subito pronti a trasformarsi nel loro contrario non appena il venticello comincia a cambiare verso.