«Il fatto non costituisce reato per l’aiuto al suicidio e non sussiste per l’istigazione al suicidio». L’assoluzione di Mina Welby e Marco Cappato nel processo per la morte di Davide Trentini, confermata ieri alla prima udienza dalla corte d’Assise d’Appello di Genova, è importante per almeno due motivi. E – come nel caso di Walter De Benedetto, riconosciuto in diritto di coltivarsi la cannabis che gli occorre per lenire i suoi dolori – chiama in causa una certa politica, ancora bigotta. E latitante, almeno fino all’intervento di un qualche tribunale.

E infatti ieri, dopo la conferma della sentenza di primo grado emessa il 27 luglio scorso dalla Corte d’Assise di Massa, le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno annunciato che finalmente, come aveva sollecitato la Corte Costituzionale nel pronunciamento sul caso di Dj Fabo, si avvia l’iter di una legge sul suicidio assistito. Giovedì 6 maggio infatti si terrà la seduta congiunta per il deposito del testo base e l’avvio della discussione generale, con i relatori Trizzino (M5S) e Bazoli (Pd).

Due motivi importanti, si diceva. Il primo perché, come spiega l’avvocata Filomena Gallo, presidente dell’associazione Luca Coscioni e a capo del collegio difensivo della copresidente e del tesoriere della sua stessa organizzazione, «conferma che l’aiuto fornito dagli imputati a Davide Trentini non è punibile» perché il 53enne malato di Sla, che il 13 aprile 2017 ha ottenuto da Mina Welby e Marco Cappato l’aiuto economico e il supporto per raggiungere una clinica Svizzera dove si è suicidato, «era sottoposto a trattamenti di sostegno vitale farmacologico diversi dalla dipendenza da macchinari, come Fabiano Antoniani, ma pur sempre di sostegno vitale, poiché senza i farmaci che era obbligato a prendere sarebbe morto».

Il secondo motivo è che mentre il pm, Marco Mansi, forse suggestionato dalle parole che Papa Francesco aveva pronunciato appena pochi giorni prima contro l’aborto e il suicidio assistito, nell’ottobre scorso aveva impugnato la sentenza di primo grado «sostenendo che il suicidio è un fatto illecito – come riferisce ancora l’avvocata Gallo – e sollevando una serie di eccezioni», ieri invece in udienza, davanti alla Corte d’Assise d’Appello, ha preso la parola il procuratore generale di Genova, Roberto Aniello, che ha sconfessato il pm Mansi. Il pg ha chiesto infatti la conferma della sentenza impugnata dalla procura di Massa, «affermando e scrivendo nelle sue memorie che l’impostazione del pm non è condivisibile», per i motivi esposti dagli avvocati difensori.

«Si è stabilito così un procedente importante», fa notare Cappato che però si rammarica del fatto che «ci sono voluti 4 anni e nove udienze per arrivare alla conferma di questo risultato». «È evidente – sottolinea – che persone in queste condizioni di malattia terminale non possono aspettare tempi cosi lunghi». «A causa dell’inerzia della politica – aggiunge ancora Cappato – ora abbiamo deciso di depositare un referendum che ci porterà nelle piazze italiane tra luglio e settembre, e a quel punto saranno direttamente i cittadini italiani a scegliere tra l’eutanasia clandestina che c’è e l’eutanasia legale che chiediamo. Le persone continuano a contattarci perché questa è una realtà sociale molto diffusa e per questo motivo abbiamo appena lanciato un numero bianco (0699313409) che le persone possono chiamare per essere aiutate dai nostri volontari ad affermare i propri diritti».

L’assoluzione è stata accolta con piacere dalle forze che sostengono il referendum: Radicali italiani, +Europa, Possibile, Volt, Partito Radicale, Verdi e qualche esponente del M5S. «Quindici anni fa l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano disse a Piergiorgio Welby che in materia di fine vita “l’unico atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio”», ricordano Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, leader dei Radicali italiani. Ma di fatto il silenzio è ancora l’arma colpevole di certa politica.

Mina Welby, che insieme a Cappato si autodenunciò per l’aiuto offerto a Trentini, chiede ora «a tutti di aiutarci a raccogliere le firme per il referendum». «Davide avrebbe sorriso alla lettura della sentenza come ha sorriso quando se ne è andato», ricorda la vedova di Piero Welby.