E’ da qualche anno ormai che il catalogo della letteratura statunitense importata nel nostro paese presenta un numero consistente di romanzi noir e crime legati in particolare all’America rurale. Da Country Dark di Chris Offutt a La versione della cameriera di Daniel Woodrell, passando per Bull Mountain di Brian Panowich e Un piede in paradiso di Ron Rash, sembra che l’editoria italiana abbia scoperto una fascinazione per il lato più remoto del paese, quello tutto sommato ancora troppo spesso vittima di stereotipi duri a morire, che vedono nell’America profonda un’arcaica terra di nessuno, un ventre di violenza e arretratezza.

Parte di questa curiosità è senza dubbio legata all’ascesa politica di Donald Trump. Lo zoccolo duro dei sostenitori dell’ex-presidente è stato infatti di frequente individuato, con qualche patente semplificazione, nei bianchi di ceto medio-basso; quelli che Hillary Clinton, dando voce a un malcelato classismo, definì «deplorevoli», alienandosi di fatto parte dell’elettorato. Grazie anche ad alcune analisi recenti – alcune trascurabili come quella contenuta nel pessimo Elegia americana di J.D. Vance; altre eccellenti come lo studio di Nancy Isenberg, White Trash, ovvero i bianchi poveri scarsamente educati residenti soprattutto al Sud, questa classe sociale è stata oggetto di rinnovato interesse e di un rinvigorito disprezzo.
Nel 2017 David Joy, scrittore della Carolina del Nord le cui radici affondano nelle classi rurali svantaggiate del meridione, ha pubblicato un saggio accorato in difesa di questa società vilipesa, intitolato «Digging in the Trash», ovvero, «Scavando nella spazzatura». Riappropriandosi di una prospettiva di classe generalmente ignorata dall’ethos del sogno americano, che fa della mobilità verticale uno dei suoi pilastri, Joy descrive con durezza e compassione le vite disgraziate dei suoi conterranei: gente che ha fatto della disperazione «un modus vivendi», dimenticata dalle istituzioni e strutturalmente privata di ogni possibilità di redenzione.

Con Queste montagne bruciano (traduzione di Gianluca Testani, Jimenez edizioni, pp. 263, euro 19,00) l’autore affronta la stessa materia attraverso la forma a lui congeniale del noir, mettendo a fuoco la situazione drammatica in cui la povertà endemica, il disinteresse del governo e l’ampia diffusione di narcotici e alcolismo hanno condotto gli abitanti degli Appalachi. La storia di Raymond, vecchio montanaro nostalgico, e Denny, cherokee tormentato dalla tossicodipendenza, è infatti tutta iscritta nei confini di una decadenza che procede dalle iniquità sociali ed economiche dell’America contemporanea.
Contrariamente ai primi romanzi del conterraneo Cormac McCarthy (ambientati letteralmente sul crinale opposto della stessa catena montuosa), in cui il primitivismo idealizzante dell’autore tinge il presente di toni apocalittici, Joy dà voce alla nostalgia per un passato ormai perduto senza ricorrere a sottotesti metafisici o facili mitizzazioni: gli Appalachi del romanzo non sono un idillio selvaggio ormai in rovina, ma uno spazio e un tempo concreti, spinti inevitabilmente verso la catastrofe da un mondo fuori controllo.
La voce affilata del narratore non risparmia alcuna bruttura nella descrizione di questo sottobosco schiacciato dal degrado e dall’incuria. Al contempo, Joy dimostra però tutta la propria amorevole compassione nella premura che dedica al lato più umano dell’intreccio. Il ricorso al poliziesco diviene quindi un espediente formale, utile per avvicinare dal basso il microcosmo altrimenti negletto e mistificato al quale lo scrittore ha consacrato la propria opera e lasciare che si esprima in prima persona, al di là della retorica denigratoria di cui è vittima.

La preoccupazione principale dell’autore è del resto svelata già dall’epigrafe del romanzo, un verso del poeta Maurice Manning (anch’egli figlio del Sud rurale), che, ricordando la propria infanzia nel Kentucky, scrive: «Ho amato le persone disperate che ho amato». Allo stesso modo, il romanzo di Joy è un tributo d’amore alla sua gente, rifiuti del profitto costretti alla mera sopravvivenza e alla costante difesa della propria umanità.