Dai Glass di J.D. Salinger ai Vincent di Susan Minot, dai Lambert di Jonathan Franzen ai Gordon di Ben Lerner, la narrativa americana – e non solo, certo – ci ha abituati a storie di famiglie scomposte, dove basta una riunione familiare o un incidente affinché l’equilibrio si perda e affiorino segreti, incomprensioni, tossicità.

Ora è la volta degli Starling, i protagonisti del romanzo di David James Poissant, La casa sul lago (traduzione sicura di Gioia Guerzoni, NN editore, pp. 352, € 18,00), anche loro scombinati e guasti, «tutti che mentivano, tutti che sapevano che gli altri mentivano e non dicevano niente, perché le famiglie fanno così». In realtà, gli agiati e inquieti coniugi Starling li avevamo già conosciuti in due racconti della bella raccolta d’esordio, Il paradiso degli animali, dove erano sul punto di separarsi, incapaci di amministrare il dolore per la morte in culla della figlia.

Nel romanzo li ritroviamo, molti anni dopo, appagati da una gratificante carriera universitaria, nella loro casa estiva a Lake Christopher, North Carolina, nell’America di Trump e degli smottamenti sociali. Hanno invitato i due figli, Michael e Thad, a passare un weekend con loro per metterli al corrente della volontà di vendere la casa, prima di trasferirsi in Florida.

Nemmeno il tempo di interiorizzare il dolore per l’imminente perdita di un pezzo della loro infanzia, e accade una tragedia: durante una gita in barca annega un bambino. L’incidente dà il via a un percorso a ritroso nelle zone d’ombra delle vite di ciascuno e getta nello sconforto i figli, già oppressi dalle loro fragilità e dipendenze. Il passato rivive attraverso le confessioni che i personaggi si scambiano a due a due durante i tre giorni di convivenza, fino all’inevitabile confronto corale che permette – un po’ troppo hollywoodianamente – una ricucitura degli strappi, e sfocia nel proposito di andare avanti uniti, malgrado tutto.

Storia e gestione dei piani temporali sono convincenti, meno lo scioglimento finale, precipitoso e intasato di confessioni. Scarnificata, appuntita, tanto bene aderente alla ruvidezza dei racconti, la scrittura, complice il narratore onnisciente, a tratti molto invasivo – si carica qui di una leziosità che spoglia i personaggi della veste sporca e stropicciata con cui si mostrano.

Allo stesso modo, se nei racconti le barriere tra mondo umano e animale cadevano generando una felice commistione di realismo e allegoria, qui quello che poteva essere un elemento di riconoscibilità si fa didascalia (nella scena della morte del cervo; nella spiegazione del significato del cognome: Starling significa «storno», «gli storni sono uccelli terribili») o si spinge alla deriva della decorazione (nell’accumulo di immagini di rane che gracchiano e insetti che ronzano). Il talento di Poissant torna, comunque, in singole scene – la frenesia ovattata dell’annegamento è potente –, a confermare l’impressione che sia il racconto la sua dimensione più congeniale.