Per festeggiare i suoi primi 40 anni il Bergamo Jazz Festival, dal 18 al 25 marzo, offre una parata di «all stars»: Uri Caine, Chano Dominguez, Linda May, Han Oh, Maceo Parker, Jeremy Pelt, Gonzalo Rubalcaba, Claudio Fasoli, Rita Marcotulli, Paolo Fresu, Enrico Rava. Ma è soprattutto la direzione della rassegna, affidata al trombettista americano Dave Douglas, il dato saliente di quest’edizione, a cominciare dal rapporto tra il musicista e l’evento; per lui la simbiosi tra la propria visione del jazz e quella di pensare a un festival in fondo si assomigliano: «L’atto di fare musica – spiega Douglas – è soprattutto l’idea di prendere elementi disparati e fonderli in un tutto, si spera un ‘tutto perfetto’. In un certo senso questo è un processo molto simile a quanto cerco di fare con il Bergamo Jazz Festival».

E anche sulle scelte che poi caratterizzano l’identità di questa iniziativa Dave non ha dubbi quando parla di «creatività nella diversità» poiché crede proprio «in tutti i modi in cui il jazz e la musica improvvisata vanno avanti. Bergamo 2018 non può ovviamente rappresentare tutte queste cose in una volta sola, ma possiamo certamente celebrare il fatto che così tanti esseri umani di diversa estrazione e differente esperienza siano coinvolti profondamente in questa musica.». In effetti un tratto essenziale e distintivo di questa edizione è guardare soprattutto al presente delle sonorità moderne e postmoderne: «La musica jazz e quella improvvisata – continua il trombettista – sono nelle mani di tutti i musicisti che le suonano, le vivono e le sognano».

Ecco quindi che un certo tipo di sound e i modi in cui viene presentato al pubblico, come nel quarantennale bergamasco, possono acquistare un significato politico o un valore etico: «La buona musica può servire da modello per il funzionamento della società. Dobbiamo lavorare tutti insieme, dobbiamo tentare tutti di comprenderci e rispettarci l’un l’altro. Dobbiamo sforzarci insieme per il bene più grande. E molti grandi gruppi jazz fanno tutte queste cose assieme».

D’altronde, se Douglas ci offrirà le performance di storici ma attualissimi esponenti del soul jazz, dell’afrocubanismo, delle esperienze del post-bop europeo cosmopolita, è perché la sua cultura musicale da sempre è rivolta a mettere in contatto dialetticamente passato e futuro, tradizioni e avanguardie della storia jazzistica. «I miei primi ricordi sul jazz vanno ai dischi di Billie Holiday, Coleman Hawkins, Fletcher Henderson, Jimmy Lunceford, Ella Fitzgerald e successivamente di Miles Davis, Eric Dolphy, Gil Evans, John Coltrane, Ornette Coleman, Cecil Taylor e tanti altri. Mio padre aveva in casa una discreta collezione di album jazz; e lui mi ha anche portato al mio primo concerto quando avevo circa dieci anni; era un duo di violino e batteria; penso fossero Leroy Jenkins e Ed Blackwell, anche se non sono stato in grado di confermarlo al 100%; all’epoca non avevo idea di quanto sarebbe stato formativo in termini di visione del mondo».

Del resto mentre si sta preparando a presentare Bergamo 2018 e a suonarvi in sestetto con Paolo Fresu e Enrico Rava (trombe), Uri Caine (pianoforte), Linda May Han Oh (contrabbasso), Clarence Penn (batteria), Dave sta lavorando a diversi progetti: «Con Joe Lovano abbiamo realizzato una nuova registrazione per Greenleaf Music con la band Sound Prints, assieme a Lawrence Fields, Linda May Han Oh e Joey Baron, tra musiche originali e riarrangiamenti di Wayne Shorter. E ho pure un nuovo progetto in omaggio a Dizzy Gillespie intitolato Dizzy Atmosphere, con Ambrose Akinmusire, Bill Frisell, Gerald Clayton, e la Oh e Baron. Continuo a scrivere per la big band e il grande ensemble e lavorare con loro, oltre apprezzare veramente ’’incontro e la condivisione di esperienze con giovani musicisti di tutto il mondo».