Nell’ambito di «Donne Brescia PhotoFestival», al Museo di Santa Giulia, è stata inaugurata ieri (per concludersi l’8 di settembre), la sezione espositiva dedicata al tema Davanti l’obiettivo. Da Man Ray a Vanessa Beecroft, per le cure di Mario Trevisan che, nel breve testo introduttivo, segnala quanto il legame tra donne e fotografia sia stato propizio nella storia dell’immagine. Il punto medio individuato, fra i tanti possibili, è un omaggio al nudo femminile attraverso centodieci scatti che, dagli albori della fotografia a oggi, offrono uno spettro ampio sull’argomento.

«Ovviamente – specifica Trevisan – il campo è vasto e per essere esaustivi non sarebbe stato sufficiente come spazio espositivo la famosa biblioteca infinita di Jorge Luis Borges». È stata dunque operata una scelta rigorosa tenendo presente la soglia sempre mobile tra «glamour» ed «erotico», e navigando entro un mare come quello segnato da sguardi spesso opposti, per formazione e sensibilità estetica; da Marina Abramovic, Vanessa Beecroft, a Bill Brandt, Lucien Clergue, André Kertész, David LaChapelle, Robert Mapplethorpe, Edward Weston ma anche Francesca Woodman. Nel solco di una tradizione fotografica che ha avuto una attenzione speciale verso il nudo femminile, il gioco senza posa dell’avvicinamento al corpo dell’altra assume un rilievo diverso se a pensarlo, osservarlo e tentare di decifrarlo siano state artiste o artisti. Nel caso di Giusy Calia, artista che ha esposto in mezzo mondo e che al corpo delle donne – così come ai saperi critici – ha dedicato da sempre la sua intera ricerca, l’opera Prospettive calzanti, in mostra a Brescia, è il frutto di un sodalizio che firma insieme a Marzia Lioci. Un sodalizio che dichiara quanto, in particolare il lavoro di Giusy Calia, sia l’esito di una intelligenza relazionale prima che estetica.

L’immagine è metafora di nudità come esposizione di sé, un giacere in attesa – coperte unicamente da una garza, bozzolo ormai deflagrato che non arriva ancora alla luce di una trasformazione; l’unica fonte di illuminazione è infatti artificiale, controcanto e doppio inanimato al sonno silenzioso di una donna che sembra stia sognando. In stato di totale meditazione abbandonica, il corpo rappresentato da Calia e Lioci ha una prossemica particolare che lo potrebbe facilmente assimilare a un rebus incarnato in cui una giovane Venere, in segno di pudicizia, tiene una mano sul proprio sesso mentre l’altra – sottostante – svela un’altra storia che è quella sontuosa e dirompente del piacere femminile. Nella vulnerabilità tutta umana che aspetta un altro corpo, reale o fantasticato, e che qui si declina nel godimento grato della propria differenza sessuale.