L’Italia rimarrà tutta bianca almeno per un’altra settimana, poi la tinta unita potrebbe tornare a macchiarsi. Secondo il decreto del 22 luglio, per le zone a colori conta soprattutto il tasso di occupazione degli ospedali: si va in zona gialla se il Covid occupa il 10% dei posti letto in terapia intensiva e il 15% nei reparti ordinari. La Sardegna ha superato ieri la prima soglia: con 21 ricoverati su 196 posti di terapia intensiva, nella regione l’indice è all’11%. Viste le ricadute su lavoro e economia, è scontato che i governatori puntino a tenerlo sotto la soglia, con mezzi leciti e meno leciti.

Allestire nuovi posti di terapia intensiva, ad esempio, permette di abbassare il tasso di saturazione degli ospedali: secondo l’ultimo decreto sulle zone colorate, ogni mese le regioni possono allargare la disponibilità, a patto che i posti letto aggiuntivi «non incidano su quelli già esistenti e destinati ad altre attività». C’è anche chi ha fatto ricorso alla contabilità creativa. È questa l’accusa degli anestesisti del sindacato Aaroi-Emac del Friuli-Venezia Giulia. Secondo loro negli ospedali di Gorizia e Palmanova in aprile una ventina di pazienti intubati (dunque da conteggiare nelle terapie intensive) erano stati “declassati” e collocati in terapia subintensiva per ritoccare in giù il numero dei ricoverati gravi. Ora il ministero ha inviato gli ispettori. A febbraio simili manipolazioni erano emerse anche in Molise e le ispezioni avevano riguardato anche Campania e Veneto. «La nostra impressione è che queste pratiche siano molto diffuse» spiega Alessandro Vergallo, anestesista-rianimatore e segretario dell’Aaroi-Emac. Da mesi Vergallo sottolinea che il numero di posti in terapia intensiva attivabili – circa 9.700 letti – è in realtà “gonfiato” perché il personale è sufficiente per garantire assistenza solo a 7 mila pazienti.

Gli dà ragione una ricerca dell’Università Cattolica: nel 2020, per effetto della moltiplicazione dei letti e dell’assunzione di meno di mille anestesisti, il numero di specialisti per posto letto è calato da 2,5 a 1,6.

La previsione di legge secondo cui i posti in più «non incidano su quelli già esistenti e destinati ad altre attività» è irrealizzabile. «Per aumentare i posti letto si può agire realisticamente su tre fattori» spiega Vergallo: «la razionalizzazione dei reparti, il taglio dei turni di riposo e lo spostamento degli anestesisti dalle sale operatorie. Ma in questo modo ne fanno le spese gli interventi programmati, che già sono in sofferenza: le operazioni effettuate oggi sono il 70-80% rispetto all’era pre-Covid e le liste d’attesa si allungano».

I numeri dichiarati dalle regioni destano perplessità. Regioni come Marche, Sicilia, Piemonte dichiarano di aver più che raddoppiato i posti letto disponibili rispetto all’inizio del 2020. Claudio M. Maffei, già direttore sanitario dell’Istituto nazionale ricovero e cura degli anziani di Ancona e ora coordinatore scientifico del think tank “Chronic-On” conosce bene la situazione marchigiana: «Prima della pandemia la regione disponeva di circa 120 posti letto di terapia intensiva, compresi quelli di area pediatrica. Oggi comunica di disporre di ben 209 posti letto operativi più altri 61 attivabili». Secondo Maffei, i letti con personale già assegnato non saranno più di 150. Avendo più o meno lo stesso personale come si fa a gestirne quasi il doppio se ce ne fosse bisogno? «Ovviamente riducendo il personale impiegato in altre attività».

Una simile elasticità si osserva anche in regioni grandi come il Lazio (che ha aumentato i letti del 112%) e in Veneto (+105%). Il timore è che, per salvare la stagione e rimanere in “bianco”, si sottraggano risorse agli altri reparti scaricando i disagi sugli altri pazienti. Come dimostrano le cronache, manipolare queste cifre non è difficile. Perché a certificare i dati provenienti dalle regioni sono le regioni stesse. Da cui dipendono anche le nomine dei dirigenti sanitari che decidono sulla riorganizzazione dei reparti.

Per aumentare la capacità delle terapie intensive occorre reclutare circa quattromila nuovi specialisti, sostiene l’Aaroi. Prima però bisogna formarli: dal 2019 al 2021, il ministro Speranza ha portato da 800 a oltre 2.100 le borse di studio per la formazione di nuovi medici in questo settore. Ma i risultati arriveranno tra cinque anni.