Amir Naderi al Lido haportato innanzitutto se stesso, la sua carica umana tracimante e gli abbracci fraterni che dispensa, la sua curiosità adolescenziale per il cinema e i suoi molti saperi che volentieri condivide. Nel suo fagotto da vagabondo errante ha portato Magic Lantern, il film che dopo il furore poetico-percettivo di Monte proprio non t’aspetti, una storia di sentimenti e ricerca ossessiva dipanato tra molteplici piani di realtà condotta con stile delicato, quasi femminile se paragonato alla solida robustezza della tessitura stilistica sua solita, e il suo personale Adieu au Langage, visivo canto d’amore e commiato per un cinema che già si è perso ma ancora non lo sa.
Un giovane proiezionista si invaghisce di una misteriosa fanciulla la cui identità diventa l’enigma irrisolvibile del film e la sua ossessione, ma accade veramente o si sta rivedendo in uno dei film che proietta? Un film che è una sfida personale :«Dopo aver abbattuto le montagne in Monte avrei dovuto separare gli oceani per superarmi ancora! Ho capito che la sfida vera sarebbe stata fare qualcosa di completamente diverso, tornando sui sentimenti più intimi e delicati e misurarmi con un’espressività completamente diversa»
Ne parliamo con Amir Naderi.
Uno degli aspetti più forti del film è la creazione di uno statuto d’esistenza incerto di questi personaggi, che non sai mai se sono reali, sognati, fantasmi o entità filmiche…
Non sono in grado di dirtelo nemmeno io…La storia proviene dal giovane proiezionista, uno spunto con cui rendo omaggio allo Sherlock Jr. di Buster Keaton , in cui il protagonista è un giovane proiezionista che vede se stesso in sogno. Ma qui la confusione tra realtà e sogno è totale: tutto ciò gli accade veramente? Lo sogna? Sono i suoi ricordi? Vede veramente se stesso all’interno del film o semplicemente vede dei personaggi che trasforma con la fantasia? Nessuna risposta può essere certa, o seguire la logica razionale proprio nel sogno ci troviamo e tutto resta indefinito. Pensa al personaggio di Jaqueline Bisset, molti elementi del film lasciano intendere che lei e la giovane ragazza incarnino entrambe metaforicamente l’arte del cinema, visto che, come avrai capito dalla scena in cui si sovrappongono nello specchio sono la stessa persona. Capisci che loro sono il cinema perché appaiono solo quando il film è in proiezione e quando la pellicola si rompe muoiono con lei. Altri elementi del film, però, lasciano intendere che siano fantasmi, perché il ragazzo le vede aleggiare semitrasparenti per i corridoi del cinema e in più scopriamo che la ragazza è morta da anni. Altre volte si può pensare che siano semplicemente persone reali di cui si racconta la storia. Essendo un film di fantasmi e sogni mi interessava porre molte domande ma non dare nessuna risposta, come avviene coi sogni.
Lanterna magica, già nel titolo l’evocazione del cinema, della proiezione delle immagini…
È da una decina di anni che rimugino su questo titolo, e sopra ci si è incrostato molto cinema che ho amato, come Ugetsu Monogatari, (I racconti della luna pallida d’agosto) di Mizoguchi, in cui c’era questo fantasma femminile incantevole.
E c’è molto altro cinema che amo in Magic Lantern, come il Max Ophüls di Lola Montès, La Ronde e Pleasure, di cui ho cercato la leggerezza magica, la capacità di usare il medium cinematografico, l’immagine e il suono, nella creazione di atmosfere magiche.
Il trattamento magico ed evocativo del colore, qui i puristi storceranno il naso, deriva da Vincent Minnelli e anche l’estetica del negozio è modellata su atmosfere sue, come tutto il personaggio di Jaqueline. Penso a The Bad And The Beauty o Two Weeks in an Other Town e ai pezzi musicali di Band Wagon, anzi faccio ballare Jaqueline in quel modo perché volevo che il personaggio fosse una sorta di Cyd Charisse di quarant’anni dopo.
La prima apparizione della ragazza, quando lei balla al negozio mentre lui carezza il manichino, il modo con cui si cercano, è tutto preso da Vertigo, è Scotty al bar quando cerca Kim Novak, e poi lei avanza e si volta così e poi così (e mima la Novak che avanza). E poi c’è la ricerca ossessiva dell’identità della ragazza, per cui avevo in mente sin dal principio la Rosebud di Citizen Kane, perché proprio come per la slitta, che appena si capisce cosa è viene gettata alle fiamme, appena troviamo l’identità della nostra lei c’è l’incidente e muore, nello stesso istante in cui la pellicola slitta e si rompe e quindi muore anche il cinema analogico, in senso metaforico, e muore definitivamente la possibilità di ritrovare lei, che viveva solo se evocata dal film.
Oltre a questo citazionismo affettivo il tuo omaggio al grande cinema sembra anche un fatto di stile, dell’adozione di un linguaggio che sembra uscito da un film degli anni ’40….
Questo è un film girato in digitale, un mezzo che implica con un’estetica sua, quindi il fatto che sembri girato in pellicola, e che sia girato in certe parti come un film degli anni ’40 o ’50 sono scelte del tutto intenzionali.
È il mio «linguaggio della memoria», lo stile che mi riporta a cose del passato a cui rendo omaggio. I movimenti di macchina che seguono in maniera ogni movimento dei personaggi per tenerli a centro inquadratura, il «montaggio invisibile», i colori che emulano i film di quegli anni, un modo di fare cinema che ho amato, e che deve inevitabilmente cambiare. Si tratta di evocare i fantasmi del cinema. Guardando quei vecchi film i volti mi sono familiari, Bogart, la Bergman, eccetera, li sento parlare, ma so che non esistono più, è come se guardassi dei fantasmi, tutta quella Hollywood, quelle atmosfere, quello stile di vita e cinema, ora sono solo fantasmi, e quando giro per gli studi della Metro Goldwin o della Fox mi sembra quasi di sentirli sussurrare, questi fantasmi, sembra che mi parlino tra le vecchie cineprese e proiettori esposti a memoria dei posteri.
Due personaggi femminili che incarnano l’essenza del cinema…
Madre e figlia sono in realtà la stessa persona, lo si capisce chiaramente quando si sovrappongono le loro immagini nello specchio. Jaqueline, la ex-diva in realtà è morta, come il cinema che rappresenta, ma torna per guardarsi giovane un’ultima volta, sogno di tutte le dive. Ogni volta però il tempo a sua disposizione è limitato e quando è ora di tornare viene richiamata nel suo regno, la tenebra, col quel suono oscuro, il verso del gufo e il suono della notte. Una tenebra-morte cui si oppone anche qui, come in Monte la luce accecante del sole, quando i due escono dall’armadio e si ritrovano sulla spiaggia-sogno, un ritorno alla vita in entrambi i film.