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Sogni e fantasie per ricordare Fellini«Prima Scena», festival dedicato alla scenografia, è costruito attorno al premio Oscar maceratese Dante Ferretti e ha preso le mosse lo scorso sabato celebrando in differita di una settimana il compleanno tondo dello scenografo alla Mole Vanvitelliana di Ancona. Poi gli appuntamenti proseguiranno fino al 26 marzo toccando altre città della regione (Macerata, Ascoli Piceno, Potenza Picena) e coinvolgendo personalità del mondo di cinema e teatro come Henning Brockhaus e Giancarlo Colis. È Festival rubricato europeo ma fatalmente marchigiano, legato alle radici dello scenografo e costumista protagonista di tutti gli snodi fondamentali del cinema internazionale dell’ultimo mezzo secolo: Dante Ferretti ha una filmografia e un palmares sterminati, è stato al fianco di Fellini, Pasolini, Scorsese, Gilliam, Jordan, per dire i fondamentali. Ferretti che il padre avrebbe voluto gli succedesse nella falegnameria di famiglia si è scrollato di dosso la cappa della provincia, «la porca bicoccaccia», come Leopardi, altro maceratese, chiamava la propria casa. Eppure alle Marche torna e le Marche tornano prepotentemente nei suoi racconti, senza nostalgie da via Gluck , ma quali vivide prime location di una parabola di vita mirabolante che esprimeva già dai titoli di testa tutto quello che sarebbe stato.

RACCONTA FERRETTI dell’esordio col botto, del suo salvataggio miracoloso a pochi mesi di vita da sotto le macerie dopo un bombardamento, sopravvissuto perché protetto dall’armadio costruito dal padre. Una scenografia casalinga che lo mette in salvo, la stessa da cui scapperà, appena ottenuto il diploma di ebanista, veloce come Pinocchio, figlio di falegname anche lui e come lui fantasmagorico e festoso, a scapicollo per le strade del mondo, di Roma innanzitutto. La due giorni di apertura anconetana è essa stessa scena da film, un capitolo da aggiungersi a quello dell’ottima biografia di Ferretti scritta con Davide Miliozzi per i tipi di Jimenez, Immaginare prima («balbettavo per avere troppo da dire, un ingorgo, ho dovuto imparare a rallentare le parole, i pensieri, a immaginare una scena prima di passare alla successiva» spiega). La Mole di Ancona, sede di cineforum estivi tra terra e mare, si affaccia sul porto dell’ultima scena della Ragazza con la pistola, quella dove correva il Nanni Moretti della Stanza del figlio e dove si struggeva Bentivoglio in Un’anima divisa in due.
L’Auditorium dove i conduttori di Hollywood Party hanno conversato con Ferretti è vicino alle stanze che hanno ospitato la grande antologica dello scultore Valeriano Trubbiani, amico di giovinezza e sogni cinematografici dello scenografo che lo ha voluto con lui per E la nave va. La pellicola onirica di Fellini terminava con l’approdo della scialuppa Stella del Nord proprio allo scalo anconetano.Racconta Ferretti dell’esordio col botto, del suo salvataggio miracoloso a pochi mesi di vita da sotto le macerie dopo un bombardamento, sopravvissuto perché protetto dall’armadio costruito dal padre. Una scenografia casalinga che lo mette in salvo.

Opere di Ferretti e Trubbiani condividono ora anche gli spazi espositivi del Museo tattile Omero, anch’esso alloggiato alla Mole. Il primo Museo italiano dedicato all’arte che si deve toccare ha compiuto trent’anni nei giorni dell’ottantesimo di Ferretti e, in uno scambio di cortesie e coincidenze di quelle che costellano l’arrembante biografia dello scenografo, hanno festeggiato insieme il 5 marzo. Dante Ferretti ha portato al Museo in regalo il bozzetto del labirinto del Nome della Rosa «per costruirlo» racconta «ho parlato con Eco, rappresentare un labirinto in teatro è difficile, complicato da far decifrare, quindi ho deciso di farlo verticale ispirandomi a Escher». L’arte come ispirazione per immaginare il cinema gli viene da Pasolini «uno che aveva la bellezza nello sguardo e che lasciava che il suo sguardo venisse contagiato dalla bellezza».

IL LABIRINTO verticale di Ferretti con la teoria di scale e pedane esagonali realizza, nella versione in scala, in modo ancora più calzante la visione della biblioteca immaginata prima da Borges, cui Eco notoriamente tributa più di un omaggio nel suo romanzo: «L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere…». Indubbiamente Ferretti, come disse Pasolini stesso, è un genio, capace di vedere e trasformare. Si paragona alla fata di Cenerentola parlando del suo lavoro su Cinderella di Kenneth Branagh. Ed effettivamente egli vede il potenziale delle cose, sa trasformare le zucche in carrozze.

L’IMMAGINARIO, ripete, attinge da ricordi di infanzia e giovinezza: aveva in mente la barbieria dove andava suo padre quando ha disegnato gli ambienti di Sweeney Todd, la torre dell’orologio della sua piazza per quello celeberrimo di Hugo Cabret, due pellicole, peraltro, che gli sono valse l’Oscar. L’altra è Aviator, e degli impatti aerei sulla sua vita si è già detto (con sua moglie e collega Francesca Lo Schiavo Ferretti ha schivato abbastanza fortuitamente anche i luoghi di Ground Zero nell’11 settembre di 22 anni fa). Torna come un refrain anche la sua smania di costruire, anzi, ricostruire, verbo molto familiare nelle Marche dei sismi e dei dissesti idrogeologici ed economici. «Gli scultori lavorano in levare, io da quelle macerie da cui sono rinato ho costruito la mia vita film su film, aumentando, ingrandendo, ricostruendo» parole di carpenteria, di piano casa, di realtà aumentata. Della benedetta terra del saper fare come è uso chiamarla, dove la differenza la fanno quelli capaci di sogni tridimensionali.