Guastatore sonoro, dotato di straordinaria vis polemica, senza peli sulla lingua e sul sassofono, con un lunghissimo curriculum di album e concerti live (persino in sostegno di questo giornale/collettivo politico), Daniele Sepe si è trasformato in Capitan Capitone, un filibustiere che s’aggira tra Napoli e Procida, a bordo di un gommone, con una ciurma di musicisti, i Fratelli della Costa (più di 60 elementi/malamenti) per riscrivere suonando la storia del famoso Ulisse che non tornò mai a Itaca perché trascinato da una burrasca al di là delle colonne d’Ercole, nelle isole dei Caraibi, tra le ritmiche di Giamaica e Cuba, la musica per banda e le citazioni parodistico-demenziali. Come se la Tempesta del bardo inglese fosse portata in scena dagli Squallor, i funambolismi di Frank Zappa mischiati alle fanfare balcaniche, tra mareggiate, richiami fantastici e roba da fumare di gran qualità.

Tutto è cominciato il 7 luglio 2015 quando un gruppo di cassintegrati Fiat di Pomigliano chiese al musicista partenopeo di organizzare un concerto per sostenere la loro lotta e raccogliere solidarietà e sussistenza. Fu scelta piazza Dante e in meno di 20 giorni Sepe mise insieme più di otto ore di concerto, coinvolgendo decine e decine di band della città, attraverso un post su Facebook. Molte non le conosceva. Da allora il sodalizio tra chi partecipò a quella bella avventura non si è più sciolto, hanno continuato a suonare, mangiare, bere e girovagare insieme per il Golfo. Una formazione all-stars o sbrindellata compagnia o anche Nuova Onda con i Foja, La Maschera, ‘O Rom, Tartaglia Aneuro, Aldolà Chivalà, Mario Insenga & Hadacol Special, La Contrabbanda di Luciano Russo, Claudio Gnut, Maurizio Capone, Alessio Sollo, Nero Nelson, Sara Sossia Squeglia, Flo Cangiano, Auli Kokko, Piermacchiè, Gino Fastidio e altri ancora. «Siamo entrati in studio senza avere nemmeno uno straccio di melodia, di riff – confessa Sepe – Io proponevo un personaggio, un argomento e… via. Il fatto di passare molto tempo insieme, quello privato del cazzeggio e del vino, ci permette di condividere storie. Questo disco è solo un punto di partenza, perché altri musicisti si aggiungono via via come Gino Fastidio e altri ne arriveranno».

Più leggero e divertente, variegato e spezzettato, l’album, Capitan Capitone e i Fratelli della Costa, è su etichetta FullHeads, distribuzione Audioglobe, sovvenzionato con il meccanismo del crowfunding di Musicraiser e in distribuzione entro pochi giorni, sia su Amazon che sui canali digitali. Chi l’ha sovvenzionato ad occhi chiusi avrà anche il libretto con i testi, le foto ed altre informazioni, chi la maglietta, chi il telo da mare, chi la sacca in cotone, gadget balneari di sostanza. E spendendo cento euro anche una giornata in barca, in zona Miseno.

Veleggiando oltre la forma canzone, ci si abbandona alla corrente dell’intrattenimento umoristico nel solco della tradizione napoletana e ci si destreggia tra sonorità meticciate, campionate, rimasticate simboleggiate dalla marcetta ‘O capitò, ‘o capitò che non è solo l’anguilla fritta tipica pietanza natalizia ma anche il nome della barchetta di Sepe. La chiamavano Sanità è l’apologia del western classico, modernizzato nei luoghi delle imprese criminali «Sanità, mo tenevamo ‘na bella casarella a Mundragone, tre figliulill’, tre bravi guagliune ‘A sera annanze ‘ a televisione ce vedevamo o film ‘e Sergio Leone, cu ‘a musica ‘e Morricone e miezu chilo ‘e turrone» mentre Le range fellon è un chiaro omaggio a Ugo Calise, anche per il testo in francese supermaccheronico «il camminé/ pur le scogl/ avec lu chelon/ le range fellon» e poi Penelope, un sirtaki calypsizzato o l’altro tributo Spritz e rivoluzione, sui figli di papà alternativi di piazza Bellini, la fauna che staziona sotto casa del fiatista un po’ pirata e un po’ artista. «Non so fare previsioni sulle prossime elezioni comunali.

Certo l’area della sinistra non lascia grandi ricordi e anche l’amministrazione uscente ha gestito gli eventi con più attenzione alle apparenze che ai contenuti autentici, basti citare l’America’s Cup o il Forum delle Culture col consulente Vecchioni che chiedeva ai musicisti di andare a suonare gratis, un caso davvero paradossale. Le uniche cose buone, in questa città, sono le esperienze che vengono dal basso, sia in campo sociale che artistico».

In tempi di Spotify e Deezer, i dischi non si vendono più e anche gli spazi si sono clamorosamente ridotti per quella scena indipendente molto vivace che contava sul passaparola degli appassionati. «Sono molto contento di aver lavorato con una nuova leva di giovani musicisti – aggiunge Sepe – Tartaglia, Gnut, Roberto Colella scrivono canzoni nient’affatto stupide mentre i Foja e ‘O Rom meritano maggiore considerazione ma siamo tutti un po’ tagliati fuori dalle rotte commerciali delle major, aspettiamo un galeone da assaltare che non passa. Il mio disco del 2010, Fessbuk. Cronache dal manicomio è stato un grosso spartiacque, dopo di allora organizzatori e produttori si sono dileguati. Anche a Roma non vengo più invitato a Villa Ada ed è un peccato perché il Capitone coi Fratelli della Costa è uno spettacolo allegro e coinvolgente, con parti bandistiche e vari personaggi (il vecchiarello, il fumato, le vedette), perfetto per il pubblico romano».