L’ispirazione principale viene da Il paradiso può attendere e tutti quei film, dice Daniele Luchetti, «dove si torna in vita dopo la morte, c’è una seconda possibilità». Paolo (Pif) il protagonista del suo nuovo film – Momenti di trascurabile felicità (in sala dal 14 marzo) – muore infatti da subito in un incidente stradale, ma gli viene concessa un’altra ora e 32 minuti «sulla terra», da passare con la propria famiglia e in cui fare l’inevitabile bilancio della propria vita.

La commedia, tratta dal libro omonimo e da Momenti di trascurabile infelicità di Francesco Piccolo, è stato sceneggiato da Luchetti insieme allo scrittore: «Nell’adattare il romanzo per il grande schermo – dice Piccolo – abbiamo subito pensato all’escamotage dell’ora e 32 minuti per dare forza propulsiva ai frammenti di vita raccontati sulla pagina». Il risultato, aggiunge Lucchetti, «è il ritratto cubista di un uomo medio, frammenti della sua esistenza ’incollati sulla tela’». Ad accompagnare il protagonista nella sua ultima ora di vita è l’«angelo» interpretato da Renato Carpentieri: «Il mio personaggio ha quasi tutti i difetti dei ’viventi’ – scherza l’attore – è pettegolo, millantatore… Un angelo di bassissimo livello».

L’AMBIENTAZIONE invece è la Palermo della media borghesia: «Di solito – dice il regista – la città viene raccontata per i suoi i problemi, noi invece ’isoliamo’ una famiglia normale. Raccontiamo il mondo anche per negazione e assenza: sappiamo che ci sono i problemi e i conflitti sociali, che però vengono tenuti fuori. Anche a livello di regia per me l’idea principale era la leggerezza, per riuscire attraverso il minuscolo, le piccole cose, a toccare anche corde profonde».

Era ora, aggiunge il palermitano Pif, «di girare un film a Palermo senza parlare di mafia, anche perché adesso la città offre un’altra narrazione, un’altra immagine di sé». E la criminalità, sottolinea l’attore, è estranea al film a ogni livello: «La mafia non c’è né nella sceneggiatura né nella produzione. È impossibile avere nostalgia dei Castagna – dice in riferimento alla famiglia palermitana che imponeva comparse e manodopera ai set in città – chi ne sente la mancanza può andare a trovarli in carcere».