Chissà se vedremo mai un giornale annunciare una notizia come questa: «Approvato il reddito di base universale». Per il momento è uscito solo su una testata un po’ stramba, Good Fake News, che fin dal nome ci avverte che qualcosa purtroppo non torna. L’idea è di Dani Scharf, uruguayano, classe 1980, uno dei migliori illustratori latinoamericani. Tra i protagonisti della Bologna Children’s Book Fair delle edizioni 2018 e 2023, ha al suo attivo decine di esposizioni.
Con Good Fake News, dietro a quello che può sembrare solo una provocazione, si cela in realtà un sofisticato progetto d’arte. A fare da incubatore a un’idea che ronzava da parecchio all’autore, è stata una serie di residenze artistiche iniziate nei Paesi Baschi, all’interno del famoso Irudika, il meeting internazionale di illustrazioni, e poi proseguito in varie città, da Angoulême a Guadalajara.
Un formato 35×50 cm, foliazione di venti pagine, disegni realizzati con differenti tecniche, dal collage al digitale, incisioni e xilografie, Good Fake News è disponibile online ed è stato stampato con una tiratura di sole venti copie, come una serie d’arte, nelle raffinate tipografie londinesi di Newspaper Club. «Dalle reazioni ricevute e per la quantità di materiale accumulato nel frattempo, credo sarebbe interessante continuare le pubblicazioni e far uscire un numero due», sorride Dani Scharf.
Il senso dell’operazione è spiegata nell’editoriale che compare nel primo numero: «Proprio come indica il nome, qui tutto è fittizio, comprese le notizie false, solo che invece di seminare odio e divisione, sono notizie ottimiste e divertenti, ma comunque false sono». E così, sfogliandolo, troveremo che «Il surriscaldamento globale si è fermato» e che le migrazioni sono benvenute, che si è realizzato un prototipo di teletrasporto e persino che la scienza avrebbe dimostrato come i gatti neri portino fortuna.
Come è nata l’idea di realizzare un giornale di fake news?
Semplicemente osservando la realtà. Lavoro con molte testate e considero l’illustrazione che devo realizzare una parte importante del testo cui è destinata, quasi un’altra versione del testo, una versione visiva. Dunque, per ogni illustrazione devo leggere, fare ricerche e capire.
Ma più ci si immerge a cercare materiali, che siano temi pesanti o leggeri, più è difficile districarsi nella tormenta informativa. Per di più, le persone sembrano sempre un po’ incredule di fronte a un giornale, mentre un tempo nessuno lo avrebbe mai messo in discussione. Non mi restava che sperimentare qualcosa di diverso.
Il progetto sembra posizionarsi in quella zona grigia tra il vero, il falso e il verosimile.
Per quanto riguarda il «falso» già il nome della testata lo dichiara esplicitamente: mi è sembrato il modo più semplice e più chiaro, ma capace anche di suscitare uno spiazzamento fin da subito. Ci ho aggiunto un «good», perché siamo sommersi da fake velenose, orribili, che incutono paura e solleticano le reazioni più negative. Mi sono chiesto cosa potrebbe succedere nel diffondere «buone notizie false», quale dose di ottimismo e di energie positive potrebbe innescare. Sono convinto, infatti, che ci sia una molla psicologica importante per cui ciò che vediamo influisce sulla nostra visione del mondo.
Per questo l’ho vissuto come una sorta di micro-attivismo personale e di fatto sono «buone fake» perché riguardano cose possibili e auspicabili. E questo mi copre sul lato del «vero». Invece, è il risultato finale che ha un gusto di «verosimile» e quella incertezza è il mio modo di stare in un terreno d’arte.
C’è un altro elemento che lei ha usato per amplificare quella sensazione di stordimento: gli articoli sono scritti da Chat Gpt-3.
Non mi considero un giornalista ma so che l’entrata in scena di questi software di intelligenza artificiale ha messo ancora più in discussione il mestiere. Per questo mi sembrava una buona scelta, in modo da amplificare ancora di più quel senso di ‘verosimile’. Ho fatto scrivere a Chat Gpt-3 più versioni di uno stesso articolo e nessuna mi convinceva… alla fine sono stato anche un editor severo (ride, ndr). A quel punto, come scrivo nell’editoriale, ho scelto di non fare alcun editing, in modo da lasciare evidente come alla fine non sia un testo ben scritto, mancano la raffinatezza e la bellezza della scrittura umana. E così si possono scoprire molti piccoli errori persino ortografici e un tono apatico e superficiale di raccontare.
Le sue illustrazioni hanno tutte un registro molto surreale e onirico. Quali sono le sue fonti creative?
Credo sia il risultato di tutto ciò che mi ha alimentato dal punto di vista visivo e sensoriale. Da bambino ero estremamente curioso. Mi piacevano un sacco i cartoni animati, ovviamente. Uno in particolare mi entusiasmava: la Pantera rosa. Era un cartone senza dialoghi e con una musica splendida. Solo dopo ho scoperto che il tema musicale era di Henry Mancini, uno dei più grandi compositori di colonne sonore. Il mix era geniale.
Mi sono laureato in disegno grafico qui a Montevideo, ma devo molto ai laboratori tenuti da Oscar Ferrando, uno dei fondatori del Club de Grabado, importante nella storia dell’arte in Uruguay, un pezzo di cultura indipendente e anche famoso per il suo disegno militante, molto politico negli anni ’70 e ’80. E così, ad esempio, ho imparato a utilizzare l’errore come elemento positivo e a dar valore alle imperfezioni, mentre dai corsi di comunicazione e pubblicità ho appreso la forza della dimensione concettuale.
Su cosa sta lavorando ora?
Di Good Fake News ho pensato di stampare un’edizione limitata di una serie di immagini, una sorta di spin off del progetto. E poi ho finito un libro, tutto mio, che uscirà quest’anno per una casa editrice cilena, la Caligrafix. Si intitola La transformación más feliz del mundo: è la storia di un camaleonte che non può cambiare colore.