A chiedere per primo all’Abi una posizione ufficiale sui mutui per i lavoratori con contratto a tutele crescenti è stato Cesare Damiano (Pd). Oltre che con Patuelli, il presidente della commissione Lavoro della camera ne ha parlato – informalmente – anche con il presidente della Bce Mario Draghi. Il rischio che i mutui vengano erogati ma solo zavorrati da una polizza contro la perdita del lavoro ora lo porta a chiedere al governo «un fondo di garanzia che consenta ai giovani di avere il mutuo senza dover spendere molto di più».

Damiano, sia l’Abi che Abete e Poletti parlano di «positività» delle banche per erogare i mutui anche ai lavoratori con il nuovo contratto a tutele crescenti. Lei che idea si è fatto?

La mia richiesta iniziale a Patuelli aveva un po’ il senso di assaggiare il budino. Di fronte alle affermazioni del governo – «Con il contratto a tutele crescenti finalmente i giovani avranno diritto al mutuo casa» – volevo capire se l’Abi confermava questa posizione. La risposta all’inizio è stata interlocutoria: «Bisogna chiedere alle istituzioni europee». E allora l’ho chiesto direttamente a Mario Draghi.

E che risposta ha avuto?

L’ho avvicinato a margine della sua audizione in parlamento la scorsa settimana. Lui, molto cortesemente, mi ha risposto che la decisione sull’erogazione di mutui non è di loro competenza. Mi ha comunque detto che, a suo modo di vedere, il nuovo contratto a tutele crescenti ha garanzie sufficienti, ma che poi ogni istituto bancario si comporterà in modo autonomo.

Ora però si scopre che le banche italiane, non avendo ancora potuto determinare il fattore di rischio, per concedere mutui ai nuovi contrattualizzati imporranno loro una polizza contro la perdita del lavoro.

Bisogna essere molto realisti e non ingannevoli sui risultati delle leggi. Per il tutele crescenti l’atteggiamento del sistema bancario pare essere positivo, ma sembra nascondere un trucco: l’assicurazione contro il rischio di licenziamento. Potrebbe essere persino obbligatoria. E così il lavoratore pagherà di più per un diritto che il governo sosteneva di aver allargato. Potremmo dire: fatta la legge, trovato l’inganno. Per questo riterrei opportuno che il governo portasse avanti in tempi brevi un confronto con l’Abi o con i maggiori istituti e, se questa posizione verrà confermata, creare un fondo di garanzia che copra la differenza di costi. Se poi si vedrà che i licenziamenti saranno pochi, immagino che il fattore di rischio per l’erogazione dei mutui a chi ha un “tutele crescenti” sarà più basso: e così il governo spenderà anche meno.

Ma non sarebbe bastato rendere il contratto meno flessibile e più facile la reintegra?

Diciamo che la posizione del sistema bancario dovrebbe portare il governo a modificare la normativa per rendere il nuovo contratto a tutele crescenti più affidabile agli occhi dei banchieri.

Insisto: non è che lei e la minoranza Pd abbiate chiesto modifiche su questo punto specifico durante la discussione del decreto delegato sul “tutele crescenti”…

In realtà la parola «mutuo» l’ha tirata fuori il presidente del consiglio nella conferenza stampa. Prima di allora il problema non si poneva. Io ho chiesto molte modifiche a quel decreto: qualcuna l’ho ottenuta, altre no. Ma se, come mi succede spesso, mi si chiede perché ho votato una legge che non condividevo, rispondo che si tratta del mio governo, del mio partito. Io, come la vecchia talpa rossa, cerco di scavare, di modificare le norme. Ma se c’è un voto di fiducia non mi posso sottrarre.