Alla fine come sempre finirà per prevalere la scelta di non fare niente rimandando così la ricerca di una soluzione, ma non è detto che questo sarà sufficiente a salvare la missione europea Sophia. Stando infatti a quanto fatto filtrare ieri da fonti diplomatiche dell’Unione europea, a Bruxelles si starebbe pensando di prorogare per sei mesi la durata della missione, scavalcando in questo modo la data di fine mandato prevista per il 31 dicembre prossimo.

Una scelta che lascia bene intuire l’ incapacità dei leader europei di trovare una risposta comune all’unica, vera questione che da mesi mette in forse il futuro della missione, vale a dire la possibilità di condividere tra gli Stati membri sia i porti nei quali far sbarcare i migranti salvati nel Mediterraneo centrale, che la loro successiva accoglienza. Questione che da mesi contrappone con toni anche accesi l’Italia agli altri Stati membri, visto che le attuali regole impongono che sia solo il nostro Paese ad accogliere quanti, dopo essere partiti con i barconi dalla Libia, vengono poi soccorsi in acque internazionali dalle navi impegnate nella missione. «Se non ci saranno nuove regole non riteniamo opportuno continuare la missione», ha ripetuto anche ieri Matteo Salvini intervenendo al Comitato Schengen. Minaccia che il ministro degli Interni porta avanti da prima dell’estate, provocando anche la reazione infastidita dei ministri della Difesa Elisabetta Trenta e degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, gli unici competenti sulla missione che l’Italia, con l’ammiraglio Enrico Credendino, guida fin da quando è cominciata, a giugno del 2015.

Al quartiere generale di EuNavFor, nell’ex aeroporto di Centocelle a Roma, si evita di commentare le scelte della politica. «Siamo militari e quello dobbiamo fare facciamo», è l’unica frase che si riesce a strappare in via ufficiosa. Anche se chi parla ci tiene poi a ricordare come, oltre al contrasto dei trafficanti di migranti, la missione Sophia sia da tempo impegnata nella raccolta di informazioni sul contrabbando di petrolio e nel controllo dell’embargo di armi alla Libia. Sottolineando, però, come in tre anni siano stati 44.916 gli uomini, le donne e i bambini salvati (il 9% del totale), 2.200 dei quali solo quest’anno. «La questione degli sbarchi non è davvero la parte più importante della missione e far saltare tutto per questo è davvero un peccato», è la conclusione.

I 2.200 migranti salvati dal primo gennaio a oggi sarebbero stati ricordati a Bruxelles anche dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini in una delle ultime riunioni del Cops, il Comitato politico e di sicurezza dal quale dipende la missione. Se li dividiamo per 12 mesi e poi per i 27 stati membri – ha spiegato Mogherini – fa sei migranti al mese per ogni Paese, davvero per così poco vogliamo far saltare tutto?, ha chiesto. Senza esito anche due proposte avanzate sempre dall’Alto rappresentante come possibile mediazione tra gli Stati.

Sbrogliare la matassa di interessi nazionali che imprigionano la missione è opera davvero complicata. Francia, Ungheria, Belgio e Croazia chiedono infatti di legare la possibile soluzione per la missione alla più vasta discussione sulla gestione dei migranti che comprende anche la riscrittura del regolamento di Dublino (ormai praticamente abbandonata dalla Commissione europea).

Un altro gruppo di paesi, tra i quali Germania, Spagna e Portogallo, sarebbero invece propensi a cercare una soluzione temporanea, che però l’Italia difficilmente accetterebbe. Al momento è quindi tutto fermo, con ’ipotesi di una proroga come unica soluzione possibile. Anche su questa, però, il voto contrario dell’Italia è praticamente scontato.
Se l’Italia, come è possibile, dovesse tirarsi indietro, altri Paesi sarebbero pronti a farsi avanti per assumere il comando della missione. La Spagna, che probabilmente sposterebbe più a Nord il suo raggio d’azione per fra fronte agli arrivi dal Marocco. Ma anche la Francia, che nella missione potrebbe vedere un ulteriore tassello utile ad aumentare la sua influenza sulla Libia, anche in vista di possibili futuri affari con il Paese nordafricano.

A rimetterci sarebbe quindi solo l’Italia, che oltre a perdere il prestigio conquistato dal 2015 a oggi lascerebbe sguarnita – e non certo da un’inesistente pericolo migranti – la sua frontiera più sensibile.