Una volta c’erano le fabbriche e l’aristocrazia operaia. Prima ancora, l’antico Marchesato del grande latifondo, il serbatoio dell’Italia preindustriale, quello delle terre del grano e delle lotte bracciantili. Poi la crisi della chimica. E la deindustrializzazione che ha lasciato dietro di sè una scia di scorie tossiche e macerie sociali. Con l’amaro destino del precariato a vita. E’ quello del call center dei grandi gruppi di gestori di telefonia, impiantato in riva allo Jonio dalla fine del secolo scorso. Servizi di recalling e customer care interconnessi agli utenti di cellulari rispondono da qui, da Crotone. Dallo 0606 di Roma Capitale fino a Poste Italiane.

Il padrone è l’Abramo Customer Care, colosso della telefonia. È l’azienda della omonima famiglia del plurisindaco di Catanzaro (per 20 anni, al quarto mandato) Sergio. Ma la holding è sull’orlo del crack con 140 milioni di debiti accertati. E la situazione dei 1500 telefonisti, impiegati tra le sedi di Crotone, Montaldo Uffugo e Catanzaro, si fa sempre più drammatica. Da dicembre non percepiscono lo stipendio. E la dichiarazione di insolvenza dell’azienda depositata dal tribunale di Roma, al quale la proprietà si era rivolta per ottenere un concordato preventivo e scongiurare il fallimento, è stata una pesante mazzata.

In attesa della relazione dei commissari nominati dallo stesso tribunale fallimentare che dovrà stabilire se vi sono reali possibilità di proseguire nell’attività, il pagamento delle spettanze resta legato alla riscossione di ingenti crediti vantati dall’azienda verso i committenti. Ma quei crediti non sono esigibili dal momento che Abramo ha il Durc negativo non essendo in regola con le scadenze contributive e fiscali. Totale incertezza, dunque, sul futuro dei 1.500 dipendenti a cui bisogna sommare i cosiddetti Lap, lavoratori a progetto ai quali di volta in volta sono stati rinnovati i contratti in scadenza e che ora sono rimasti privi di qualsiasi tutela legale.

Martedì i Lap hanno protestato davanti all’azienda di Crotone. Ieri un sit in invece a viale delle Milizie a Roma davanti alla Fallimentare. Oggi lo sciopero per l’intero turno di lavoro indetto dai sindacati con presidio davanti alle prefetture di Catanzaro, Cosenza e Crotone. I lavoratori si sentono presi in giro. Lasciati soli da istituzioni e partiti politici. W. ci lavora da sempre e ai taccuini del manifesto sfoga tutta la sua rabbia: «Non è solo una questione economica. Almeno non lo è per noi. Noi che dobbiamo rispondere ai nostri figli, che ogni sera ci domandano se riusciremo a trovare una soluzione per loro. Io non lo so più.

A volte credo di sì, altre volte mi sento vinto. Ho scoperto che il sentimento del terrore è qualcosa di incontrollabile, che fa tremare le gambe anche al più forte tra gli uomini. Ecco cosa vuol dire sentirsi vinto. Ora lo so. Come lo sapeva mio padre, quando hanno chiuso le grandi fabbriche ed io mai, da bambino avrei pensato di veder crollare quei grossi fabbricati sempre attivi. Mi sento maledetto. Perché crotonese. Eppure mi basta guardarmi intorno per capire che non doveva essere questo il mio destino».

È un sentimento di disorientamento e impotenza quello dei lavoratori. Privi di prospettive e senza un futuro concreto. È dura la vita dei precari a vita: «Cosa dovrei raccontare ai miei figli? A quello più grande che deve andare all’università perché lo merita, perché è bravo, o al più piccolo che ha bisogno di cure e di solidità per crescere. Cosa dovrei dire a mia moglie che come me ha investito in questa azienda? Ma qualcuno se lo domanda cosa sono diventate le nostre vite a causa della poca serietà di chi decide che qui si può fare impresa ma fino a che risulta comodo, conveniente. Per quanto poi? Un trentennio? E lo chiamano lavoro questo? Cosa mi fa più paura? Lo dico fuori dai denti. Il destino di tutti noi. Non parlo solo dei dipendenti della Abramo. No. Io parlo di questa città. Dove bisogna avere il coraggio di rimanere ma anche la fortuna di sopravvivere». Anche W. sarà in piazza oggi. Perchè chi non lotta per quello che spera è già finito per metà.