Può sembrare un supereroe forgiato nella pietra della Murgia o un talento naturale delle percussioni dalla formidabile risolutezza tuttavia Giovanni Tamborrino è un musicista originale, un compositore contemporaneo che ha percorso tutti i gradini della musica classica e lirica, giungendo all’elaborazione di una proposta innovativa, l’Opera senza canto. A ripercorrere il suo accidentato percorso provvede il libro Dall’acciaieria alla fabbrica dei suoni, l’officina artistica di Giovanni Tamborrino scritto dal giornalista Francesco Mazzotta, edito da Zecchini (pag.168, euro 23, con ampia galleria fotografica in bianco e nero). Come tanti ragazzi born in the fifties, Tamborrino è partito dalle cantine di Laterza, il suo paese natale tarantino, facendo parte di un gruppo di musica leggera, Quelli del Duemila, specializzato in matrimoni e feste patronali. Non è stato facile l’apprendistato da batterista per un ragazzo, proveniente da un ambiente familiare povero, che non aveva nozioni di solfeggio e non sapeva leggere lo spartito, tuttavia la sua vena creativa e la tenacia meridionale lo hanno fatto andare avanti. Anche quando, a diciassette anni, viene assunto come tubista all’Italsider, la più grande acciaieria d’Europa, oppure al servizio militare fatto in gran parte suonando il tamburo nella banda del Reggimento, la passione per le sette note gli scalda il cuore e gli cambia il destino.

PRIMA LO STUDIO al Conservatorio di Bari poi l’elaborazione di un suono estremamente personale con l’utilizzo di oggetti di scarto, materiali idraulici e frammenti ferrosi (con i lamenti creati strofinando una superball di plastica incanta Morricone), un lavoro prezioso d’artigianato che marcia insieme alle collaborazioni con Luciano Berio, Sylvano Bussotti e Franco Donatoni, le menti migliori dell’avanguardia.

ENTRATO nel giro dei percussionisti che suonano negli allestimenti lirici, dallo xilofono nella Turandot al tamburo nella Bohème, fresco di esperienze internazionali Tamborrino resta però legato alla sua terra anche rielaborando vecchi motivi della tradizione popolare o inventando il Festival delle Terre delle Gravine. Sono tanti gli incontri decisivi per la sua straordinaria crescita professionale da quello con Luciano Berio, un rapporto lungo e fruttuoso col maestro che l’utilizza in vari spettacoli e lo incoraggia a proseguire nelle sue ardite sperimentazioni mentre Tamborrino accoglierà la Sequenza III, un’investigazione sulle possibilità della voce, nelle sue performance a Carmelo Bene, quasi un compagno di viaggio, nella sua ricerca di un’estetica teatrale fuori dagli schemi e antiaccademica, con un articolato studio della phonè. Nascerà poi l’opera senza canto, personale elaborazione di teatro sonoro, dove il suono della parola recitata dall’attore diviene materia fonetica al pari della musica e i due campi si influenzano reciprocamente, nelle sue opere Reputi di Medea (1995), Riccardo III (1996),Gordon Pym (1997) ed Epos in rock (1999), che hanno goduto di vasta circolazione.
E riceverà il premio Abbiati nel 2013 con Mare Metallico, «partitura magmatica di grande impatto emotivo», dedicata a Taranto e alla sua gente, a una magnifica bellezza naturale trasformata in un concentrato di veleni, in una personale fusione di musica non convenzionale nel ricordo del suo passato di tuta blu, la sintesi della storia di questo indomito uomo del sud, fuori dagli schemi e dentro il suo ritmico umanesimo.