La moltiplicazione geografica delle adunate del movimento delle Sardine, dal Nord all’estremo Sud d’Italia e in Sardegna, conferma il rilievo politico di prim’ordine del fenomeno. Come può durare questa esplosione di partecipazione spontanea?

Quale funzione può svolgere, sulla base di quali contenuti programmatici può guadagnarsi una vita non effimera? Partiamo dalla funzione.
Le sardine possono assolvere un ruolo strategico vitale per la democrazia del nostro Paese: costituire una opposizione. Da decenni il nostro sistema politico ne è stato privo, salvo per una breve fase, l’azione del Movimento 5S, diventato poi «partito pigliatutto» di governo.

DA QUANDO è nato il Partito democratico, ispirato – come dichiarato e ancora oggi ripetuto – da una «vocazione maggioritaria», cioè dall’obiettivo di far parte del governo perseguendo una politica sempre più neoliberista, l’Italia è stata privata di una opposizione politica. Vale a dire di una forza che non solo rappresentasse il vasto universo del lavoro, gli esclusi, gli emarginati, ma ne ascoltasse realmente le voci e i bisogni con una vicinanza materiale alle periferie sociali e geografiche d’Italia. Una vicinanza che ispirasse l’intera strategia politica del partito.

La trasformazione di tutte forze politiche in «partiti pigliatutto», gruppi elettorali in perenne competizione, li induce ad arraffare consensi in ogni settore della società, dall’operaio all’industriale, creando di fatto un gigantesco centro interclassista, che ha cancellato i blocchi sociali reali, la spaccatura classista che lacera la società, lasciato nei suoi frantumi il lavoro precarizzato.

L’opposizione delle sardine non potrà essere quella del Partito comunista italiano. Non posseggono le risorse e la vasta schiera dei parlamentari (per non parlare dei gruppi dirigenti). Tuttavia, all’epica delle grandi adunate esse potrebbero far seguire la prosa di un lavoro continuo nel tempo, che sia aderente ai valori con cui si presentano. Non dimentichiamo che uno dei successi del capitalismo neoliberista è stato lo sbriciolamento della società. Sono state demolite o rese insignificanti le forme di aggregazione comunitaria (vita di quartiere, sezioni di partito, parrocchie, circoli, cinema, ecc…) ed è stata imposta la figura del consumatore solitario: quella stessa che oggi vive nella vita artificiale dei social.

EBBENE, le sardine potrebbero svolgere un vasto compito di ricucitura delle relazioni umane, rivitalizzando spazi inutilizzati (Camere del Lavoro, parrocchie, circoli, centri sociali) come presidi da cui ricostruire il tessuto sociale attraverso iniziative molteplici in parte già esistenti: teatri itineranti, circoli di lettura, costruzione e valorizzazione delle biblioteche di quartiere, coinvolgimento delle scuole in dibattiti pubblici sulle condizioni della città, università della terza età, centri di discussione tra i giovani immigrati con forme di dialogo interculturale. C’è da ricostruire la vasta gamma dei sentimenti e dei valori annichiliti dalla furia omologante del pensiero unico, riportando le nostre piazze, oggi ridotte a parcheggi, a salotti dei cittadini.

MA L’ELENCO della attività volontarie che potrebbero dare alle sardine una forza oppositiva sarebbe lungo: quel che qui importa mostrare è che un loro radicamento nella vita dei territori darebbe, alle mobilitazioni generali che si possono organizzare di tanto in tanto, la forza oppositiva ai poteri dominanti e ai loro esponenti politici che oggi manca. Da queste esperienze, nel giro di pochi anni, potrebbero nascere i nuovi quadri dirigenti della sinistra italiana.

Naturalmente una forza di massa che pur non vuole diventare partito non può limitarsi a testimoniare i propri buoni sentimenti e a perorare gli elementi minimi del galateo civile. Essa deve essere caratterizzata da alcuni contenuti politici imprescindibili, se non vuole scomparire come le lampade cinesi in una notte di vento, nel cielo senza stelle della mediocrità italiana. E allora le sardine non possono non fare proprio il problema ambientale nazionale: il tema delle nuove generazioni in lotta a livello mondiale che in Italia assume aspetti economici, demografici e di sicurezza incomparabili con quelli del resto d’Europa. L’Italia si spopola nella sua vasta dorsale interna e abbandona al caos climatico e alle sue distruzioni le terre su cui per secoli aveva organizzato le proprie economie.

SIAMO all’assurdo che il settore, insieme all’arte, più simbolicamente vitale nell’opinione pubblica mondiale, il cibo, vive di materie prime importate, mentre le nostre terre sono abbandonate e i giovani extracomunitari che le potrebbero fare rinascere (in un paese di anziani sempre più medicalizzati) vengono cacciati via come criminali.

È questo che devono saper urlare nelle piazze i giovani delle sardine, insieme all’allarme per il riscaldamento climatico che avanza.

Ma i ragazzi che hanno portato in strada il loro entusiasmo non possono dimenticare il Mezzogiorno. Le autonomie differenziate rivendicate da tre regioni del Nord sono solo il sintomo di una minaccia più grave. Pezzi cospicui delle classi dirigenti italiane vogliono staccarsi del Sud, inseguendo falsi miti di supremazia territoriale. Se passano le loro idee, fra dieci anni i nostri giovani non avranno più l’Italia che hanno conosciuto. E anche il mare sarà diventato troppo angusto per ospitare banchi di sardine.