Spesso i discorsi sul digitale ricordano lo spirito della società delle nazioni: grandi enunciazioni di principi, mentre in Germania la crisi economica stava partorendo il nazismo.

Il dibattito sull’intelligenza artificiale verte principalmente sulle conseguenze etiche dei nuovi automi: ci spieranno (vecchia e reale paura), prenderanno decisioni pericolose (auto a guida automatica e simili). In entrambi i casi le preoccupazioni sono legittime, ma trascurano il fatto che gli umani sembrano pochissimo interessati alla privacy, ed è per questo che Instagram prospera, e le macchine possono certo sbagliare, ma mai quanto gli ubriachi al volante.

Soprattutto, distraggono dal punto essenziale. Robotica e domotica sperimentano nell’assistenza domestica e nel campo militare, ma il vero obiettivo è l’automazione di tutti i processi di produzione. Visto che un automa costa sempre meno di un umano, non avendo bisogni, stanchezza o diritti, l’automazione è sempre vantaggiosa. Non è difficile prevedere che in un futuro prossimo tutti i lavori svolti da umani saranno svolti da macchine, compresi quelli (magazzinieri di Amazon, riders, raccoglitori di pomodori) che vengono sempre citati per dimostrare la sopravvivenza del lavoro come fatica e alienazione.

Per comprendere e indirizzare democraticamente questa trasformazione rispetto a cui l’urgenza migratoria o la crisi ecologica sono fatti subordinati, e il populismo una conseguenza diretta (perché il timore di perdere il lavoro è la madre di tutte le paure) a poco serve sostenere che il Capitale, entità demoniaca a cui si attribuisce cattiveria e astuzia immeritate, riesce a farci faticare e alienare ventiquattro ore al giorno. Perché non è credibile: se guardo un video, se interagisco su un social o se posto un saggio sull’alienazione non mi sto alienando né affaticando.

Sto compiendo la forma di vita comunista e priva di alienazione che viene idealizzata da Marx e Engels nella Ideologia tedesca. E se non sono contento dipende in parte dalla sopravvalutazione dell’umano in Marx (ritenuto perfetto in sé e dunque felice quando è presso di sé) ma soprattutto dal fatto che lavoro gratis, non però come alienato e affaticato, bensì come mobilitato e produttore di valore, cioè di dati.

Questi, ben più che la finanza, sono il capitale del XXI secolo, perché permettono la pianificazione dei consumi e la conoscenza di bisogni, credenze, desideri. Ecco perché il capitale documediale è diverso e ulteriore rispetto al capitale industriale (che ha bisogno del lavoro come fatica e alienazione) e al capitale finanziario (che non ha bisogno né di fatica né di alienazione, né di mobilitazione o di produzione di valore, e che per questo è esposto a crisi ricorrenti).

Lamentarsi di fatica e alienazione e non riconoscere la mobilitazione non è la scelta giusta. Si tratta invece, di riconoscere i caratteri specifici della mobilitazione, e in particolare il plusvalore documediale, ossia la differenza tra i dati (generici e pubblici) che le piattaforme forniscono ai mobiliati e i dati (specifici e utilissimi per la distribuzione dei beni) che i mobilitati forniscono alle piattaforme.

Questo plusvalore, se ridistribuito in base a una tassazione europea delle piattaforme non semplicemente sui proventi pubblicitari, ma sulle raccolte dati, potrebbe stimolare il consumo di beni (è ciò che avviene in Cina); beni che, nel frattempo, e proprio per l’automazione, costano sempre meno.

In un mondo automatico per l’umano resteranno due vie. Quella, rara e fortuita, della creatività, del fare ciò che le macchine non fanno. Accanto all’eccezione, però, va ricercata la norma. Ognuno di noi è raramente (e talvolta mai) creatore, ma è sempre consumatore, portatore di bisogni, di gusti, di interessi, che affondano la loro motivazione nel suo strato organico (gli organismi, diversamente dai meccanismi, si spengono per non riaccendersi più, di qui la fretta, l’ansia, la noia e la storicità che ci caratterizzano).

Comprendere questa nuova forma del lavoro è lo sforzo concettuale richiesto a una sinistra che sappia contrapporre ragionevoli speranze alle paure su cui prende voti la destra.