Cosa hanno in comune un festival di letteratura e un presidio sindacale ai cancelli di una fabbrica? Serve uno sforzo per immaginarlo. Questo rende ancora più sorprendente vedere le due cose coincidere in un unico evento. Ancora più strano poi, è vedere il pubblico di una rassegna culturale alzarsi dalle sedie e partire in corteo arrivando a destinazione, alla Casa del Popolo  di Campi Bisanzio, con migliaia di persone.

Eppure succede anche questo nel secondo giorno del Festival di letteratura working class. «Un corteo che serve a ricordare che questo è un evento culturale al servizio di una comunità in lotta, un corteo per reagire ai fatti gravissimi di questi giorni», dice Dario Salvetti, del Collettivo di fabbrica della ex Gkn. Insieme all’editore Alegre, all’Arci di Firenze e alla Soms Insorgiamo, gli operai dell’ex fabbrica di semiassi sono tra i promotori della rassegna.

I FATTI GRAVISSIMI sono la richiesta da parte della Qf, società liquidatrice, di un intervento del ministero dell’Interno per impedire lo svolgimento del festival. È anche l’ingresso nello stabilimento degli uomini di una società di sicurezza privata con l’intento di prenderne il controllo. Ma più grave ancora è l’azione notturna, anonima, con la quale a tre giorni dal festival, qualcuno ha scassinato la cabina elettrica e sottratto le chiavi di sicurezza lasciando l’intero sito al buio.

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Tutto questo rende la tre giorni di letteratura working class una creatura ibrida tra riflessione e allerta, tra la fabbrica e il mondo. Perché se la prima edizione dell’evento era alla ricerca di una genealogia letteraria della classe sociale tra i filtri e le trasformazioni del presente, quest’anno lo sguardo si apre in orizzontale sulle trame, i linguaggi e le geografie.

DALLA STANZA di raffreddamento di una fabbrica di pane in Svezia alle storie di una famiglia operaia delle Midlands inglesi. Attraversando l’intreccio tra il corpo e la macchina da cucire di una sarta cilena di nome Mercedes. Saltando sui versi della poesia operaia degli anni ’70.

La scelta di non organizzare panel che si svolgono in parallelo fa in modo che i presenti assistano tutti insieme ai focus tematici e agli ospiti che si susseguono dal palco montato su un camioncino. Un delicato equilibrio di generatori elettrici, tendoni e banchetti sostiene una logistica miracolosamente priva di crepe.

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Il sole scopre le braccia e mette alla prova la concentrazione dei partecipanti di tutte le età, che resistono per ore seduti e coinvolti, alcuni con il piatto di pasta in grembo quando la fame costringerebbe ad alzarsi.

«Un festival contrario a qualsiasi regola del marketing letterario: senza sponsor e finanziamenti, fatto dagli operai che non sono notoriamente un target per il mercato culturale e che si svolge in un distretto industriale», dice Giulio Calella di Alegre. Un evento che rifiuta l’inclusione se intesa, come la descrive la sociologa Sarah Farris, come un racchiudere, recintare dentro uno spazio di subalternità. Ma che punta a uscire dagli steccati del prevedibile. Tre giorni, quella della rassegna, che si aggiungono ai mille, quelli che conta la battaglia per il lavoro della ex Gkn. Mille giorni, dalla fabbrica al mondo.