Finalmente si comincia a parlare d’altro. Lentamente, faticosamente, incrociando le dita delle mani e dei piedi, augurandoci che non sia troppo lontano il momento in cui declineremo il coronavirus al passato. Sta di fatto che negli ultimi giorni le sezioni culturali della stampa statunitense hanno trovato un altro osso da spolpare, l’osso giusto per questi mesi in cui negli Usa un solo argomento riesce a contendere le prime pagine agli aggiornamenti sull’andamento della pandemia: le elezioni presidenziali.

Si tratta di un libro appena uscito, un romanzo distopico che ci porta in una realtà parallela prossima alla nostra e tuttavia diversissima: il momento di scarto dallo spaziotempo in cui viviamo per davvero (o così ci sembra) si situa nell’ormai lontano 1975, quando una giovane e ambiziosa avvocatessa rifiuta per la terza volta, e definitivamente, di sposare un aitante e altrettanto ambizioso collega, Bill Clinton. Il titolo del libro, di per sé molto eloquente, è Rodham, il cognome da nubile di quella che sarebbe poi diventata forse la più odiata tra le first ladies americane e, in seguito, la grande – e ingiustamente – sconfitta alle elezioni presidenziali del 2016, e il seguito è intuibile: quelle che noi abbiamo visto come due vite indissolubilmente e a tratti dolorosamente intrecciate proseguono in parallelo con esiti differenti. Lui, Bill, sposerà un’altra donna e non diventerà presidente. Lei, Hillary, sceglierà di rimanere sola e proseguirà la sua carriera fino (appunto) alle fatali elezioni del 2016. Cosa succede a questo punto nel libro, le numerose recensioni dedicate a Rodham non lo rivelano.

Ma l’autrice, Curtis Sittenfeld (che in passato ha già dedicato un romanzo, American Wife, a un’altra first lady, Laura Bush), ha spiegato in un lungo articolo sul Guardian che, se quattro anni fa le cose fossero andate diversamente lei non avrebbe avuto bisogno di scrivere questo libro: «Invece di osservare in tempo reale come il nostro paese sia diventato un luogo più razzista, sessista, xenofobo e omofobo, gli americani avrebbero avuto una leader non soltanto impegnata per l’uguaglianza, ma pronta ad affrontare il cambiamento climatico, la riforma della legislazione sulle armi e il sistema sanitario. E appare in uguale misura indimostrabile e indiscutibile che la sua risposta a una pandemia globale sarebbe stata enormemente diversa: fondata su dati scientifici, equilibrata, compassionevole».

Purtroppo non ci è dato sapere se davvero sarebbe andata così, ma certo è bello pensarlo, e la stessa Sittenfeld ammette di avere scritto il romanzo – che Laura Miller su Slate definisce come un esempio di fan fiction, o più precisamente di real-person fiction, quel tipo di narrativa in cui «gli ammiratori scrivono storie di invenzione intorno a personaggi famosi» – per una forma di autoconsolazione. Precisando anche, in conclusione, che le lunghe e accurate ricerche necessarie all’elaborazione del libro, hanno – se possibile – accresciuto la sua ammirazione per Hillary: «Per tutta la mia vita adulta lei non è stata semplicemente una figura pubblica, ma un punto di riferimento culturale. Molti americani continuare ad affermare di non conoscerla, eppure a più riprese lei ci ha mostrato quello che è: forte e capace, attenta e complicata. Dobbiamo solo decidere di vederla».
E nel mondo reale non ci resta che vedere cosa succederà nel prossimo autunno.