L’aspetto paradossale del pattinaggio artistico su ghiaccio consiste nel fatto che le figure realizzate contano, ma conta ancor di più la grazia, l’eleganza e la leggerezza con cui vengono eseguite. È l’immagine di donna che conta, più che la sua performance. Tonya Harding è stata una delle pattinatrici più sopra le righe che si potessero immaginare. Mamma alcolizzata e cinica, babbo disperso, asmatica e fumatrice, segnata come perdente senza possibilità di riscatto. Ma testarda e talentuosa, da quando ha quattro anni è in pista contro le ricche stronzette coccolate dai giudici. Lei invece sputa sangue, anche perché giovanissima non va a scuola, si allena duramente e sposa adolescente un imbecille violento che con la sua stupidità la porta alla rovina («un cretino lo si scopa, non lo si sposa» dice mamma). Perché dopo essere stata la seconda al mondo, la prima negli Usa, a realizzare la complessa figura di un triplo axel in gara ufficiale, dopo avere strappato a forza fama e notorietà, viene respinta di nuovo all’inferno perché il manesco marito ha pensato bene di far spezzare la gamba alla Kerrigan, rivale storica di Tonya.

Difficile immaginare un biopic più stralunato e avvincente di Tonya, diretto da Craig Gillespie, ma soprattutto interpretato da un’imprevedibile e superba Margot Robbie nei panni di Tonya e un’inarrivabile Allison Janney (premiata con l’Oscar) che costruisce una figura materna sublime nel suo essere volgare. Sono loro le protagoniste, gli uomini, il marito Jeff (Sebastian Stan), lo svaporato complice Shawn (Paul Walter Hauser) sono figure decisive nella loro devastante presunzione maschile ma sono comprimari in una storia che a suo tempo fece scalpore, prima di essere oscurata dalla vicenda di O.J.Simpson.

Il film è un fuoco d’artificio di dialoghi e situazioni grottesche (desunte dalle interviste ai personaggi autentici), qui siamo davvero dalle parti dell’America più desolata. Il tutto accompagnato da una colonna sonora fantasmagorica che rende Tonya molto più che godibile e lascia solo qualche rimpianto per il fatto che non abbia raggranellato qualche statuetta in più la notte degli Oscar.

Perché c’è tutto, la fatica per compiere il salto a livello sociale, le barriere poste da chi sta più in alto, la stampa pronta a cavalcare lo scandalo, lo sport che spesso nasconde altro, la famiglia come tempio di nefandezze senza fine, la protervia degli uomini, la dura vita delle cameriere dei «diner», il tutto però raccontato con intensità e ironia. Sino a quando Tonya davvero sputa sangue, ma su un ring dove si esibisce come boxeur al femminile. Nessuno saprà mai tutta la verità, ma alcuni pregiudizi, finalmente, sono spazzati via.