Come per gli scritti di Emil Cioran, sintetiche pugnalate di disincanto alla vita, così anche nel lavoro di Franco Bifo Berardi, Il terzo inconscio, la psicosfera nell’era virale (per i tipi Nottetempo, pp. 347, euro 19), c’è scritto apocalisse, c’è scritto fine della vita e si legge amore per il mondo, inesaurita passione per questo stare nelle cose, nel tempo, nelle relazioni, tutte mostruosamente imperfette. Certo c’è bisogno di questa analisi così intelligente e vivace di cosa sia diventato il mondo dal 2020, il ribaltamento completo del senso che si è tirato dietro il Covid, le sue nascoste opportunità. Su cosa sono diventati i corpi (minacce e non più fonte di piacere). Cosa è diventata la politica che non riesce nemmeno al tempo di una pandemia globale a far tramontare le proprietarie leggi sui brevetti, escludendo di fatto i soliti dannati della terra da cure e vaccini, cosa significa un virus in termini di arroganza della posizione dell’uomo rispetto alla natura, quanto sia diventato osceno lavorare per morire (quante fabbriche continuarono a produrre mentre la Lombardia toccava vette di mortalità impronunciabili?), quanto l’alienazione dal desiderio ci spegne, ci estingue, per Bifo letteralmente.

C’È BISOGNO di ripensare a un trauma che deve essere rimosso in fretta pur di seguire i tempi mortiferi del capitalismo che uccide l’amore e le amicizie e la dignità di intere prospettive, c’è da ripensare alla morte come risignificante di vita e non come sconfitta. C’è da ripensare ai termini stessi che circolano: cosa è un fallimento? Sottrarsi al massacrante gioco del merito e della competizione o lasciarlo andare al largo, ritrovare lo spazio in cui corre l’immaginazione e la potenza dell’uomo?

SI PARLA di «minoranza cognitiva autonoma» e si spera non ci si rivolga ai pochi intelligenti, ma al fatto che in ognuno di noi (la parte autonoma) sta sempre in minoranza perché la parte (cognitaria) è sempre più imprigionata dalla paura, che preferisce armarsi di arroganza invece di darsi alla resa paradisiaca di un mondo anarchico di morale. C’è l’Anti Edipo (con qualche, forse, ridondante accenno all’equivoco di un desiderio confuso con la pulsionalità capitalista), c’è tanto Freud che restituisce fiato solo a nominargli «il sentimento oceanico» del divenire mondo. C’è una bellissima ricerca su un gruppo di amici interrogati su eros e sogni: insospettate via di fughe. E c’è il resoconto di una depressione globale, che, nel movimento Black Lives Matter, si è trasformata in quel no di Camus, quell’andare oltre, dove opporsi significa proclamare il proprio diritto di esistenza.

LIBRO FITTO, libro di ricette. Uno: «Non partecipare alla finzione democratica. La democrazia è morta, la politica è impotente». Due: «Non lavorare. Il lavoro è sempre più sottopagato, più sfruttato, più inutile per la produzione del necessario. Rompiamo ogni rapporto con l’economia». Tre: «Boicotta la circolazione delle merci». Quattro: «Non procreare. La procreazione è un atto egoista e irresponsabile quando le possibilità di felicità sono ridotte quasi a zero». Ed è in questa ultima prescrizione che l’apocalisse rifondante di questo affascinante lavoro si infrange contro una lamentazione che chiude alla possibilità, invece di aprire. L’apocalisse che ci piace di Bifo è quella che usa per fare una festa all’immanenza, regalo immenso di questa avventura esistenziale, di questo vivere tra le macerie che, nonostante tutto, ci fa sentire la commozione, la dolcezza, la potenza e l’amore. Cose per le quali vale vivere, nonostante e contro ogni sconfitta. Se si fa così il fallimento diventa solo una illusione.