Prima della vittoria «a tavolino» grazie al collegio elettorale e in barba ai tre milioni di voti popolari in meno, prima della resistibile ascesa di Donald Trump, cioè, il partito repubblicano guidato dallo speaker Mitch McConnell aveva assestato un golpe dalla risonanza apparentemente minore ma che alla luce delle dimissioni annunciate da Anthony Kennedy, «ago della bilancia» della Corte suprema, rischia di rivelarsi ancor più nefastamente significativo per le sorti politiche del Paese.

La mossa anticostituzionale dei repubblicani, che sta rivelando ora tutta la sua devastante efficacia, è avvenuta nel 2016, dopo che quel febbraio in un ranch del Texas veniva folgorato da un infarto Antonin Scalia, l’arciconservatore italoamericano che per una generazione era stato la voce ultra reazionaria sulla massima Corte americana. La leadership repubblicana aveva allora immediatamente annunciato l’ostruzionismo ad oltranza a ogni nuova nomina di Obama. Benché la Costituzione assegni al presidente in carica il dovere di designare i «supremi» magistrati, e benché mancassero allora dieci mesi alla fine della carica del presidente, McConnell annunciava che la nomina era troppo importante da lasciare ad un presidente uscente e che «gli americani avrebbero dovuto esprimersi in merito attraverso le prossime presidenziali».

La strategia si sarebbe rivelata cruciale quando – dopo aver negato per dieci mesi la ratifica a Merrick Garland, il moderato suggerito da Obama – Trump ha effettivamente vinto le elezioni. Uno dei suoi primi atti da presidente fu di designare il reazionario Neil Gorsuch al massimo organo giuridico della nazione. Gorsuch sostituiva il voto di Scalia e sulla Corte suprema composta da quattro toghe conservatrici e quattro liberal, il voto decisivo ricadeva spesso su Anthony Kennedy, un moderato designato a suo tempo da Reagan che si era espresso contro il controllo delle armi e a favore dell’influenza politica delle corporation ma aveva anche firmato sentenze a favore di aborto e diritti gay.

Per disegno costituzionale la Corte d’assise americana ha influenza esecutiva sulla vita politica. Le sentenze della Corte suprema sono state determinanti in tutte le principali fasi di progresso sociale, dal suffragio universale al potere sindacale all’integrazione nelle scuole, alla tutela dell’ambiente e ai diritti civili di neri, donne e gay. La Corte esercita una forte azione di controllo e moderazione del potere esecutivo del governo, la pietra angolare del sistema dei checks and balances – «i pesi e le misure» apposte dalla Costituzione come argine istituzionale al potere enorme del presidente.

All’inizio del mandato Trump la Corte ha esercitato questa funzione bloccando ad esempio l’abrogazione diretta della riforma sanitaria di Obama. Ma proprio negli ultimi giorni una raffica di sentenze ha falcidiato tutta una serie di tutele fondamentali. In rapida successione, i giudici hanno sostenuto il diritto di obiezione di un pasticciere che si era rifiutato di confezionare una torta per una matrimonio gay, il sistema di circoscrizioni elettorali favorevoli ai repubblicani in Texas, si è pronunciata contro l’informazione sull’aborto in California, contro il finanziamento dei sindacati e a favore del muslim ban. Un crescendo di cattive notizie per la sinistra che è culminato con la doccia fredda delle dimissioni di Kennedy, che apre la porta a una seconda nomina di Trump. Il nuovo giudice trumpista che il presidente certamente designerà blinderebbe una super maggioranza reazionaria che prelude allo smantellamento nell’ordine di: welfare, affirmative action (quote per minoranze in scuole e lavoro), diritti gay, aborto….un catalogo di capisaldi della giurisprudenza sociale dell’ultimo mezzo secolo che nemmeno il conservatore più ottimista avrebbe osato sperare solo due anni fa.

Si tratta di una assist fondamentale a Trump, un controllo totale di cui i suoi predecessori raramente hanno potuto godere e che rende molto più agevole bloccare l’ultimo argine al suo potere. Sentenze dei tribunali federali – come quella che ieri ha intimato il ricongiungimento entro un mese delle famiglie di immigrati – quasi certamente saranno nullificate in ultimo appello. Come ha detto l’analista Jeffrey Toobin, «in 18 mesi l’aborto sarà illegale in almeno 20 Stati. I libri di storia segneranno questa svolta».

In pochi mesi la parte politica che ha perso il voto popolare ha preso saldamente in mano i tre rami di governo e potrà plasmare per decenni le sorti politiche del Paese considerando che le nomine dei giudici sono a vita. Uno scacco matto che lascia aperta alla resistenza l’unica via delle urne, una strada ora tutta in salita.