Perfino il Var ci ha messo lo zampino, ad alimentare le polemiche sul rapporto ormai troppo invadente tra la tecnologia e lo sport delle due ruote. Le rinfocola, per paradosso, chi più se n’è giovate nell’epilogo di ieri, Gaviria. Primo a complimentarsi con Viviani che nemmeno i contendenti erano scesi dalla bici, dichiarato vincitore dalla moviola per cambio di direzione illecito del veronese, ha poi ammesso di non sentire sua questa vittoria.

Un dibattito, quello sulla relazione tra ciclismo e scienza, da prender con le pinze, che a passare da conservatori è un attimo, e pochi tra i suiveur sono sfuggiti alla trappola dell’eccessiva nostalgia: Coppi e Bartali se ne davano di santa ragione, che a bordo strada c’era già chi rimpiangeva i tempi, quelli sì eroici, di Gerbi. Var o non Var, negli ultimi anni cardiofrequenzimetri, aureillettes e tabelle alimentari ci hanno comunque invaso, ed il problema è che a farne le spese è stato soprattutto lo spettacolo, riducendo i ciclisti a robot radiocomandati; per quanto poi riguarda l’efficacia, bisognerebbe relativizzare. Uno che di spettacolo e di vittorie (sfortuna permettendo) ne avrebbe da lassù da raccontare, Marco Pantani, di quella roba lì non voleva sentir proprio parlare. E pure Froome, sempre citato tra i robotizzati del pedale, ha dovuto riconoscere che la vittoria sua più bella è stata al Giro l’anno scorso, costretto a fare corsa matta.

Oggi 235 chilometri da Orbetello a Frascati, attraverso l’Etruria scavata nel tufo ed i vulcani, con intermezzo a Mentana (a proposito di sconfitte trasformate poi in vittorie, o viceversa) e leggero ma insistente pendio in vista del traguardo. Il finale è un ibrido di difficile lettura, tanto che davanti ci sono proprio tutti: Roglic e gli avversari diretti per la classifica finale, i velocisti e i finisseur disposti a far loro la festa. In quella, ai meno 5, una carambola sbriciola il gruppo in plotoncini sparsi. Chi ne esce peggio è Dumoulin, non solo per i 4 minuti di ritardo, ma soprattutto per un ginocchio ko. Dei big era quello con la cera meno buona, e questo infortunio non giunge, forse, casuale. Non per cinismo ma per intelligenza delle cose il saggio Ferretti notava quanto segue: quelli forti non cadono, non forano né si ammalano. Ulteriori secondi di distacco li beccano Nibali ed altri big dalla maglia rosa, che tiene invece il passo col manipolo di testa. Da questo spunta Carapaz, che piega la resistenza delle ruote veloci superstiti e bissa a braccia alzate il trionfo dello scorso anno a Montevergine.