Il giorno dopo, letture amare per Gianni Cuperlo e Pierluigi Bersani. «Sono colpito dai giornali, la minoranza viene descritta in modo un po’ spregiativo», dice Cuperlo. «Mi ha ferito leggere alcuni commentatori sostenere che la nostra posizione sulle riforme sarebbe legata alle poltrone, è offensivo», aggiunge Bersani. In effetti nessuno, a partire dai grandi giornali che tifano Renzi, ha capito la mossa della minoranza Pd nell’ultimo passaggio alla camera della riforma costituzionale. Critiche pesantissime, allarmi seri, ma voto favorevole «per non frenare il processo riformatore». E poi la promessa (un’altra) che si tratta dell’ultima volta, se non ci saranno modifiche alla legge elettorale. Eppure Renzi ha detto e ridetto che dell’Italicum non cambierà una virgola.

Mai completamente ripresasi dall’esito delle elezioni di due anni fa, la corrente bersaniana è adesso nel momento di maggiore difficoltà. Renzi non solo non concede nulla, ma divide gli avversari interni e parecchi ne conquista. I non renziani, a questo punto, per essere conseguenti dovrebbero votare contro una riforma che hanno già approvato due volte, sia al senato che alla camera. E disporsi poi a fare campagna per il no al referendum. Lo faranno? Massimo D’Alema ieri ha fatto capire che considera il referendum una causa persa. «È una finzione per come sarà posto: o mangiate questa minestra o si ritorna al passato. Sarà una specie di plebiscito». È vero, ma il problema non è nel referendum quanto nella riforma che – con lo strumento dell’articolo 138 previsto per la manutenzione della Costituzione – ha riscritto il 35% della Carta. Il quesito non potrà essere omogeneo. Come non fu omogeneo quello, sostenuto da tutta la sinistra del 2006, D’Alema compreso, che fermò la riforma di Berlusconi e Calderoli: agli elettori fu chiesto di votare sì o no alla devolution insieme al premierato. «Il problema – ha aggiunto ieri D’Alema – è il quesito che si rivolge ai cittadini. L’ultimo sondaggio diceva che il 78% degli italiani è favorevole all’elezione del senato. Se si chiedesse “volete scegliere i parlamentari o li volete nominati dai partiti” non avrei dubbi sull’esito».

«Sono preoccupato per il futuro della democrazia, è una cattiva riforma del bicameralismo», aggiunge D’Alema. Ma l’affondo è anche sulla legge elettorale che «riduce il potere dei cittadini e aumenta quello delle oligarghie: «Due terzi dei parlamentari verranno nominati, questo restringe la partecipazione». La richiesta è quella di correggere l’Italicum quando, dopo le regionali, sarà votato dalla camera (dovrebbe così tornare al senato). La stessa cosa chiede Bersani. E con lui Cuperlo, che però intervistato dal Tg3 ha evocato la scissione nel Pd: «In gioco non c’è il rapporto tra maggioranza e minoranza, ci pensi il presidente del Consiglio. In discussione c’è l’unità e la tenuta del Pd». Anche nei toni il leader di «sinistra dem» – che ha lanciato l’incontro del 21 aprile a Roma dove aspetta diversi costituzionalisti critici con la riforma – si distanzia da Bersani. L’ex segretario ripete che «il Pd è casa mia, è casa nostra. Non vedo scissioni». Mentre il bersaniano Alfredo D’Attorre fiuta la trappola della drammatizzazione: «Non c’è nessun automatismo tra un eventuale voto in dissenso dal gruppo sulle riforme costituzionali e l’uscita dal partito», assicura.

Ma se le scissioni ad evocarle si realizzano, resiste la vecchia convinzione che sia impopolare agitarle in faccia agli elettori. A questa si richiama il capogruppo Roberto Speranza, provenienza bersaniana, convinto che «la parola scissione non è parte del vocabolario Pd». Ma soprattutto il vicesegretario Lorenzo Guerini, secondo il quale «manifestare ogni giorno rischi di tenuta del Pd non è utile» e «dividerci è l’ultima cosa che il nostro popolo ci chiede». Quanto alla ministra Maria Elena Boschi, per lei «bisogna scegliere ed essere leali», perché «le riforme le abbiamo condivise prima di tutto all’interno del Pd». La minoranza probabilmente non sarà d’accordo, ma Boschi ha anche un’altra certezza: «Al senato una parte di Forza Italia voterà a favore del disegno di legge, perché ha contribuito a scriverlo».