L’Ape non è un’aperitivo ma l’anticipo pensionistico immaginato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini e sposato dal governo. La misura è poco conveniente per il lavoratore che intende ritirarsi dal lavoro tre anni prima dalla pensione di vecchiaia e dovrà stipulare un prestito con una banca, garantito dallo Stato e intermediato dall’Inps. Secondo una simulazione della Uil non bastano le assicurazioni del governo sulle detrazioni fiscali per i lavoratori che, a pochi anni dal traguardo, hanno perso il lavoro e usufruito di tutti gli ammortizzatori sociali. Chi deciderà di usufruire del pacchetto finanziario prospettato da Palazzo Chigi dovrà rinunciare fino al 20% dell’assegno che si è guadagnato lavorando una vita. E in più dovrà pagare gli interessi alla banca per il prestito ottenuto.

Mettiamo, ad esempio, che il tasso di interesse fisso sia al 3%. Per la Uil un pensionato da 800 euro e un anticipo pensionistico di 3 anni dovrà pagare una rata di 13 mensilità da 159 euro per esaurire un debito con la banca da 31.200 euro. Questo significa che dovrà vivere con 641 euro al mese per 20 anni e una percentuale sul trattamento lordo del 17,7%. Un pensionato con mille euro al mese dovrà pagare una rata da 199 euro al mese per 13 mensilità per 20 anni. Il prestito sarebbe pari a 39 mila euro. Per un pensionato con 2500 euro netti la rata sarebbe di 499,10 euro al mese, il 20% dell’assegno originario per un totale di 97.500 euro ad un tasso del 3%. Se si guarda alla pensione lorda, il taglio alla pensione scende al 15%. A quanto pare il governo starebbe ragionando su questa seconda ipotesi, ma bisogna aspettare perlomeno un testo per dire come procederà. In ogni caso, al momento, non è affatto chiaro chi pagherà il premio assicurativo per il rischio di premorienza del lavoratore che accetta questo trattamento.

Il prestito dovrebbe essere erogato senza garanzie reali e senza obbligo di estinguerlo per gli eredi. A questo punto dovrebbe essere lo Stato, attraverso l’Inps, a coprire i rischi. Trasformandosi così in un agente assicurativo che mette la ricchezza sociale a garanzia delle banche. L’inizio di questa trasformazione della pensione in crediti bancari dovrebbe scattare nel 2017 e coinvolgerà i nati tra il 1951 e il 1953, ma è probabile che la scelta coinvolga quelli del 1953. Per la riforma Fornero le donne nate nel 1951 sono andate in pensione, mentre una deroga prevede che quelle del 1952 lasceranno il lavoro quest’anno a 64 anni, ma solo se hanno raggiunto 20 anni di contributi nel 2012. Gli uomini del 1951 e una parte di quelli del ’52 hanno usufruito o usufruiranno nel 2016 della possibilità di uscita anticipata garantita a chi aveva raggiunto la quota ’96’ tra età e contributi con almeno 60 anni di età nel 2012. L’Ape sarà utilizzato dai nati nel ’53, appena compiuti i 63 anni e 7 mesi, a partire dal 2017.

Per il presidente dell’Inps Tito Boeri questa proposta del governo è «molto importante» perché «dà una maggiore libertà di scelta alle persone, alle imprese e al tempo stesso, in questo momento, potrebbe dare anche un aiuto all’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani». Quindi, non solo i pensionati continueranno a sostenere il precariato di figli e nipoti, ma dovranno pagare i nuovi debiti con le banche. E questo viene presentato come una «maggiore libertà di scelta». Per il ministro del lavoro Giuliano Poletti tale soluzione «avrà un impatto minimo sui conti pubblici e il maggior peso sarà sostenuto dal sistema bancario». E il pubblico aiuterà i disoccupati: «Siccome tu sei un disoccupato e non posso chiederti di pagare la rata del prestito che prendi per andare in pensione tre anni prima, la rata per il 75% te la pago io, e quindi sulla spesa pubblica peserà quella parte» ha detto.

I sindacati confermano l’apertura di fondo verso la finanziarizzazione e sono cauti: «Il prestito non è una idea originale – sostiene il segretario generale della Cgil Susanna Camusso – ha senso se è una scelta che permette di ragionare sulla pensione in ragione della qualità del lavoro e della faticosità del lavoro che hanno – ha continuato Camusso – Mi pare che siamo ancora con molto lavoro da fare». Maurizio Landini (Fiom) chiede, come la Cgil, di modificare la riforma Fornero e abbassare l’età pensionabile. «È importante che sia prevista un’uscita senza penalizzazioni». Su questo anche Cisl e Uil sono d’accordo. Un debito fino a 100 mila euro, e un taglio fino al 20% di un diritto acquisito, non è una «penalizzazione». ro.ci.