Seguiamo da tempo la vicenda di Civitavecchia dove l’intera città in tutte le sue articolazioni chiede che la transizione energetica nel suo territorio non passi dal carbone al gas e lo pretende dopo aver costruito in confronti con esperti e ricercatori un progetto alternativo, con eolico e piattaforme fotovoltaiche galleggianti off-shore del tutto analogo a quello che Saipem ha annunciato di realizzare a Ravenna.

Ora ci si dovrebbe domandare: perché le istituzioni interessate e coinvolte, dalla Regione al Governo – se si esclude il Consiglio Comunale e il Sindaco della città laziale – tacciono in modo inquietante sulla sponda del Tirreno, mentre su quella adriatica i permessi per impianto eolico e fotovoltaico da 620 MW sono calendarizzati e a portata di approvazione?

UNA RICHIESTA UFFICIALE inviata da oltre un mese dal Sindaco di Civitavecchia al Ministro Giovannini per tracciare il corridoio marino su cui collocare le pale eoliche sostitutive dell’impianto a metano non ha avuto ancora risposta. Due pesi e due misure?

Siamo ben lieti che l’intuizione di Saipem – che tra l’altro ha già partecipato a grandi installazioni nel mare del Nord – sia in piena sintonia con la politica energetica UE, anche se l’entusiasmo è moderato dalla caparbietà con cui l’ENI insiste per produrre idrogeno blu con l’uso di energia prodotta da turbogas, sempre nel ravennate, a poca distanza.

CREDIAMO CHE la contraddizione trovi una spiegazione che ha a che fare con un certo dispregio della democrazia dal basso e che il tentativo di imporre soluzioni dall’alto stia tutta all’interno di decisioni e convenienze economiche delle imprese, anche quando si hanno conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute e precludendo nuova occupazione in maggiore armonia con la natura. La differenza tra Civitavecchia e Ravenna, in buona sostanza, sta nel fatto che nel Lazio viene contestata dagli abitanti la decisione aziendale dell’ENEL di bruciare metano al posto del carbone, celiando sulla neutralità climatica al 2050, mentre in Romagna la decisione viene presa direttamente sulla base delle convenienze e delle future strategie di mercato di Saipem, che, oltre che a rafforzare posizioni acquisite nell’eolico all’estero è tenuta a riconvertire le piattaforme marine adriatiche ormai insostenibili. Magari con la pretesa di attenuare lo scandalo di produrre idrogeno ad opera della sua consociata a pochi KM di distanza.

Quindi a prevalere è alla fine la visione dell’azienda, sia quando fa una scelta condivisibile che quando ne fa una sbagliata: noi pensiamo che occorre introdurre il terzo incomodo e cioè il punto di vista dell’interesse generale delle popolazioni e i vincoli dell’Europa.

IN UN FRANGENTE così straordinario si dovrebbe aprire un dibattito autentico sulla dimensione nazionale di questi grandi cambiamenti, per far crescere il Paese sul tema della riconversione ecologica, rifiutando la tesi che sia materia soltanto da specialisti, quasi sempre dettata da estensori assunti nelle imprese energetiche e rivista dai loro consulenti, con l’unico obiettivo di salvaguardare l’atteggiamento conservatore di troppe aziende.

Sull’energia sta avvenendo qualcosa di simile alla privatizzazione dell’acqua, che procede in sordina. Qual è la posizione del governo? Contraddire l’esito del referendum per favorire il ruolo “di mercato” che la partecipazione pubblico-privato affermerebbe definitivamente con il sostegno finanziario dei PNNR?

Avremmo molte motivazioni, confermate da prestigiosi studi internazionali sia in campo economico che scientifico per confutare la scelta ENEL (appoggiata da ENI) su Civitavecchia. L’abbiamo già fatto in molte occasioni e rimandiamo ad esse, ma, soprattutto, vorremmo si tenesse conto della risorsa politica e democratica rappresentata dalle posizioni espresse dalle forze politiche locali e dalla società civile, dai comitati, dai Sindacati, dalle Associazioni degli artigiani e dei commercianti.

OCCORRE RICONOSCERE che si pone una questione di primordine in una fase storica straordinaria e drammatica, in cui l’emergenza si affronta se si è consapevoli che non si tratta di scegliere tra passato e futuro ma tra futuri diversi, più o meno fecondi di speranze a seconda che queste vengano partecipate e corroborate da autentica sapienza popolare. L’ENEL ha già misurato a Civitavecchia la reazione di cittadini, lavoratori e loro rappresentanze ai diktat che Tamburi ha trasmesso attraverso la pagina locale del Messaggero.

I bilanci in espansione degli enti energetici non bastano più a convincere. Ne va del futuro di generazioni e il prezzo pagato è quello di territori sottomessi e passivi, anche sul piano della ricerca, della conoscenza diffusa, dell’informazione elaborata in comune. Sotto questo profilo, preoccupano le dichiarazioni del ministro Cingolani dopo l’incontro con Symbola dell’8 Aprile. “E’ ovvio – afferma – che abbiamo un obiettivo di decarbonizzazione al 2050, e di parziale decarbonizzazione al 2030 e che dobbiamo fare il possibile per eliminare i combustibili fossili. Il Gas sarà l’ultimo a sparire perché ci consentirà di portare avanti la transizione”. In queste dichiarazioni non c’è il minimo allure della novità ecosostenibile e del ruolo di traino che dovrebbe esercitare il PNRR come ci si aspettava dal nuovo Ministro.

IN RETE GIRANO centinaia di osservazioni sul PNRR, ma non sembrano approdare ai piani alti separati, dove si parla di “robotica e fusione”, ma intanto si mantiene viva la penetrazione del gas nel nostro tessuto produttivo e manifatturiero, a discapito di una politica industriale che gareggi con Germania e Francia nella ricerca, nell’innovazione e nell’occupazione di qualità, a partire dal Mezzogiorno.

Laudato Sì, CDC e Nostra, tre associazioni di diversa ispirazione, hanno deciso in un dibattito aperto di affrontare i nodi della ecologia integrale sotto il profilo della democrazia, della giustizia sociale e dell’abbandono dei fossili: lo faranno in un webinar il 17 aprile per imprimere ai PNNR la direzione di svolta finora per nulla evidente.