«Una decisione ininfluente, per undici giorni l’ordinanza della regione Calabria ha avuto piena esecuzione e adesso il governo ha annunciato l’apertura di bar e ristoranti su tutto il territorio nazionale il 18 maggio. Quindi non vi è più interesse». Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria gli ha appena dato torto su tutta la linea, ma Oreste Morcavallo, uno degli avvocati della presidente Jole Santelli, bada al sodo. E in effetti molto tempo è passato dalla decisione della «governatrice» di Forza Italia, il 29 aprile, di consentire a bar, ristoranti e pasticcerie la «somministrazione attraverso il servizio di tavoli all’aperto».

Malgrado l’evidente contrasto con le regole nazionali (decreto legge e Dpcm) il governo si è mosso con passo felpato: non ha revocato l’ordinanza calabrese, l’ha impugnata davanti al Tar con cinque giorni di ritardo e ha rinunciato alla richiesta di sospensione cautelativa dell’atto. Così la decisione (appellabile) della giustizia amministrativa è arrivata solo ieri pomeriggio.

Tardi, dal punto di vista della «priorità assoluta» ribadita ieri dal ministro degli affari regionali Boccia: «La sicurezza sui luoghi di lavoro per lavoratori e cittadini». Eppure non c’è da preoccuparsi troppo perché pochissimi esercizi commerciali nella regione avevano scelto di seguire la presidente e aprire effettivamente i tavolini. E alcuni comuni, innanzitutto Reggio dove amministra il sindaco Pd Falcomatà, avevano fatto ordinanze opposte, per vietare sul loro territorio quello che Santelli aveva autorizzato.

LA BATTAGLIA DEL TAVOLINO dunque l’ha (fin qui) vinta il governo centrale. Il Tar ha demolito la fuga in avanti della giunta di destra, ritenendo fondate tutte e tre le obiezioni avanzate dall’avvocatura di stato. 1) Assoluta incompetenza della regione, visto che non ricorrono le circostanze per le quali il decreto legge numero 19 di fine marzo ha riservato uno spazio limitato di intervento ai «governatori».

In definitiva «spetta al presidente del Consiglio dei ministri individuare le misure necessarie a contrastare» la pandemia. 2) L’ordinanza di Santelli non è sufficientemente motivata, visto che giustifica un presunto rischio ridotto in Calabria solo in base all’indice di diffusione del contagio (il famoso R0), mentre ci sono altri parametri da tenere in considerazione, primo fra tutti la disponibilità di terapie intensive. 3) L’«eccesso di potere», nello specifico la violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello stato che anche di recente la presidente della Corte costituzionale Cartabia ha richiamato come «bussola» per le istituzioni durante la fase di emergenza. «Non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa – scrivono i giudici del Tar di Catanzaro – sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del governo».

Malgrado ciò, la presidente Santelli non offre segnali di ravvedimento. Definisce anche lei «una vittoria di Pirro» quella del governo e anzi pensa di aver avuto comunque ragione perché «abbiamo messo le esigenze del sud al centro del dibattito». Il ministro Boccia invece ne approfitta per scrivere al presidente della Conferenza delle regioni Bonaccini per raccomandare che d’ora in poi «le regioni devono necessariamente intervenire con misure coerenti con i provvedimenti statali nel rispetto del principio di leale collaborazione».

Ormai la questione non è più quella del «liberi tutti» a partire da domani, visto che anche i presidenti più «aperturisti» come Zaia e Toti si sono sintonizzati sul 18 maggio e attendono il nuovo Dpcm di Conte per la fase 2-bis, previsto entro la fine della settimana che comincia domani. Chiedono però che d’ora in avanti siano direttamente le regioni a valutare l’evoluzione dei contagi sul territorio e a decidere di conseguenza. Il governo intende invece mantenere la regia nazionale, perché, scrive Boccia, «un’epidemia di carattere transnazionale non può che essere affrontata in maniera complessiva ed unitaria». Dunque «è imprescindibile che le ordinanze regionali prevedano, espressamente, il rispetto dei protocolli per la sicurezza dei lavoratori», per ciascun comparto di attività. Parametri (nazionali) che l’Inail e il Comitato tecnico scientifico stanno ancora definendo.