Ultimo avviso. Se un fatto nuovo, tale da permettere il formarsi di una maggioranza politica, deve emergere dovrà succedere entro e non oltre lunedì prossimo, data indicata dal presidente Sergio Mattarella per le ultime consultazioni. Poi la parola passerà a lui e quindi, se le Camere bocceranno il suo candidato, tornerà agli elettori.

CHE QUELLA DI LUNEDÌ fosse l’ultima occasione per le forze politiche era chiaro di per sé. Mattarella però ha voluto sottolinearlo ulteriormente nel comunicato con cui, senza attendere l’esito della direzione del Pd, ha annunciato la convocazione dei partiti e dei gruppi parlamentari per lunedì prossimo: «Le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste immutate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo. Il presidente svolgerà nuove consultazioni, in un’unica giornata, per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza e di governo».

Stavolta ad aprire la sfilata sarà il Movimento 5 Stelle, che invocherà nuove elezioni, seguito dal centrodestra unito, che chiederà invece l’incarico per Matteo Salvini anche senza certezza di mettere insieme una maggioranza, quindi il Pd, che si metterà a disposizione solo per un governo istituzionale, e Leu. Chiuderanno il corteo, nel pomeriggio, i presidenti delle Camere. Se non si saranno manifestate «altre prospettive» di maggioranza, la sera stessa, o più probabilmente il giorno seguente, il capo dello Stato incaricherà una figura istituzionale di formare il governo. Potrebbe trattarsi di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, mentre è già stata esclusa l’eventualità di incaricare Roberto Fico, il presidente della Camera. Ma in ballo non ci sono solo le più alte cariche istituzionali. La scelta di Mattarella potrebbe cadere su altre figure, come il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno o il costituzionalista Sabino Cassese.

PRIMA PERÒ MATTARELLA dovrà chiudere una volta per tutte la partita del governo politico. E’ escluso che si adegui alla strategia berlusconiana, invocata anche ieri dalla capogruppo al Senato Anna Maria Bernini, inviando Salvini alla cieca in aula. E’ escluso anche che si affidi alla sorte incaricando il leghista Giorgetti con le riforme costituzionali nel programma, nella speranza che ottenga i voti del Pd. Perché venga affidato un incarico, o anche solo un pre-incarico, politico il «fatto nuovo», nel quale ormai lo stesso pacchetto di mischia del Quirinale spera pochissimo, dovrà essere esplicito, ufficiale, pubblico.

Se quel segnale chiarissimo non arriverà, Mattarella giocherà la sua carta. Una sola, senza piani di riserva: se il presidente del consiglio e il governo indicati dal Quirinale passano, bene.

Altrimenti saranno loro a gestire, in autunno, le nuove elezioni. Sarà ovviamente una scelta delicatissima, ancora non definita, e verrà fatta sulla base dei segnali che arriveranno già nel week-end. Il presidente dovrà decidere non solo chi spedire di fronte al Parlamento, ma anche con quale programma e con quale orizzonte temporale.

Il capo dello Stato dovrà anche calibrare sin nelle virgole il messaggio col quale annuncerà la sua decisione. Drammatizzare oltre misura non è nel carattere dell’uomo, ma un certo tasso di drammatizzazione ci sarà certamente, tanto più che i segnali dell’Europa e dei mercati spingono in quel senso. Ieri sono uscite le Previsioni economiche di primavera: nel capitolo sull’Italia la Commissione europea fa suonare le sirene d’allarme e chiede ulteriori interventi sui conti pubblici. Confindustria boccia drasticamente l’idea di tornare alle urne.

L’appello di Mattarella sarà rivolto a tutti i partiti anche se probabilmente gli stessi strateghi del Colle sperano poco nella possibilità di mettere insieme una maggioranza. Contano piuttosto su scelte variegate, dall’astensione all’uscita dall’aula alla fiducia condizionata, per far decollare il nuovo governo. Anche per questo la scelta dovrà essere misurata con massima cura in ogni particolare.

SALVO MIRACOLOSE SORPRESE, Mattarella avrà un colpo solo da sparare. Se andrà a vuoto, il rischio che anche nuove elezioni servano a poco e che il ricorso all’esercizio provvisorio diventi inevitabile, con conseguenze pesanti su una ripresa economica già stentata, sarà alto. Ma non c’è solo questo. Non si è mai dato il caso di un governo del presidente della Repubblica bocciato dal Parlamento. Se l’inaudita eventualità si verificasse, e al momento non si tratta affatto di un’ipotesi improbabile, la delegittimazione coinvolgerebbe inevitabilmente anche la più alta carica dello Stato.