Quando pronunciamo la parola «comunicazione», pensiamo immediatamente che essa sia sorta nel XX secolo o alla fine del XIX con l’idea di rivoluzione tecnologica. Stampa, radio, cinema, televisione e infine internet: la grande accelerazione industriale ha messo al centro della nostra esistenza i media, strumenti capaci di formare, informare e, all’occorrenza, deformare le coscienze e le opinioni.

MA È CORRETTO CREDERE che, nel lungo asse della storia, la comunicazione non abbia avuto i suoi spin doctors e un peso specifico in altre società politiche, nei rispettivi côtés culturali? O meglio: «Prima che tutti questi fenomeni fossero portati a evidenza e a compimento, bisogna forse pensare che non esistessero forme comunicative potenti nelle società susseguitesi nel corso del tempo storico? In assenza di società di massa e quindi di mass media, bisogna forse pensare che le forme della comunicazione abbiano svolto un ruolo affatto marginale fino all’esplosione del capitalismo e della cosiddetta modernità?».

SONO GLI IMPORTANTI quesiti posti da Stefano Cristante, sociologo dei processi culturali all’Università del Salento, nel suo saggio Storia sociale della comunicazione. Dai primordi alle rivoluzioni della modernità (Egea, pp. 232, euro 22), che si propone di analizzare i tratti salienti delle variabili comunicative attraverso tre nodi concettuali, «la creazione di reti, la costruzione del sapere, l’esercizio del potere».
Il testo è diviso in tre macrocapitoli che squadernano l’«avventuroso tragitto plurimillenario» della comunicazione dall’antichità («L’ingegno comunicativo degli antenati: dai primordi a Roma imperiale») al Medioevo («La comunicazione nell’età di mezzo: dall’impero di Costantino al tardo XIV secolo»), sino al Rinascimento e all’età moderna («Dalla macchina di Gutenberg alla stampa rivoluzionaria francese: prima della comunicazione di massa») con il telegrafo ottico che precede di poco il telegrafo elettrico, progenitore della società di massa. Insomma, una fulminea ma documentata carrellata di strumenti – umani e oggettuali – che hanno segnato la storia delle (pubbliche) relazioni.

«IL CORPO DELL’OMINIDE, la mano dell’Homo erectus e la voce dell’Homo sapiens. I pittogrammi dei Sumeri, il geroglifico degli Egizi, il cuneiforme mesopotamico e la scrittura ideografica cinese. L’alfabeto fenicio e greco. Il papiro e la pergamena. La poesia e il racconto, gli eventi culturali e la cultura religiosa. Il sapere filosofico e l’organizzazione razionale del discorso. Le piattaforme comunicative dell’Impero Romano. Lo spirito del medium-libro e la propaganda cristiana».
Cristante ci ricorda che da sempre l’uomo tenta di aprirsi all’alterità, al mondo e utilizza persino il suo corpo come «articolazione mediatica», persino i suoi spazi più cari: «Se tuttavia fosse necessario ridurre ancor più la complessità, limitandosi a una sola immagine, potrebbe essere di aiuto la metafora dell’agorà, cioè dello spazio pubblico nella sua apparente naturalità tribale e nella sua essenza urbana decisamente socio-culturale». Sta a noi, immersi nelle insidie della civiltà cibernetica, ricordarci di koinóein, ossia etimologicamente di fare, rendere comune.