«Speravamo in un’ordinanza che fosse chiara» dice il direttore dell’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo) Domenico Barbuto: all’indomani del decreto del presidente del consiglio regna invece il caos totale nel mondo dello spettacolo. L’ordinanza parla infatti di sospensione di «manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico che privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro».

Cinema e teatri non sono dunque necessariamente tenuti a chiudere, ma in che modo possono garantire il rispetto della «distanza di sicurezza»? Per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo, spiega Barbuto, è un’impresa impossibile. «Chi può assumersi la responsabilità di verificare che ci sia effettivamente fra gli spettatori il metro richiesto dall’ordinanza?». Per questo, dice, l’Agis sta consigliando ai suoi soci di tenere chiuse le strutture. Nel corso della giornata di ieri arrivano infatti gli annunci dei teatri: dallo Stabile di Torino, che sospende gli spettacoli fino al 3 aprile, a quelli della fondazione Teatro di Roma (Argentina, India, Torlonia), che cancellano ogni attività fino all’8 marzo e la normale programmazione fino al 3 aprile, al Teatro dell’Opera che ha annullato tutte le repliche del Corsaro e le rappresentazioni della Turandot.

IN QUESTE ORE, aggiunge Barbuto, «siamo in contatto con il ministero della Sanità per capire se interrompere anche le prove e gli allestimenti: pure in quel caso è difficile far rispettare la distanza interpersonale, specialmente nel teatro d’opera dove c’è l’orchestra».

E i cinema? Lavorando con lo «sbigliettamento» e non con gli abbonamenti – come principalmente fanno i teatri – si può ipotizzare una maggiore possibilità di adattamento alla norma prevista dall’ordinanza, ma anche in quel caso la farraginosità delle disposizioni governative ha creato confusione in un settore già provato da una crisi endemica e da settimane di emergenza in cui le sale del nord (che normalmente garantiscono il 30/40% degli incassi nazionali) sono rimaste chiuse: «Abbiamo chiesto alla protezione civile – ha detto all’Ansa Mario Lorini, presidente dell’Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) – ulteriori spiegazioni per capire meglio come affrontare il momento». Lorini spiega che nel frattempo sale e multiplex stanno provando a organizzarsi individualmente, conformandosi alle raccomandazioni sanitarie (per esempio con dispenser di soluzioni disinfettanti all’ingresso) e specialmente collocando il pubblico in sala in modo che sia rispettata la distanza di sicurezza, con uno spettatore ogni tre posti disponibili. La scelta sul da farsi viene lasciata ai singoli esercenti, nella consapevolezza che con questa distribuzione degli spettatori in sala i posti non potranno essere occupati oltre il 30%.

Anec Lazio ha fatto sapere che le sale nella regione resteranno aperte proprio adottando questi accorgimenti: «I cinema di Roma e del Lazio resistono», recita il loro comunicato. «Lo scopo di ciò è, in primis, quello di assicurare agli esercenti e a tutti i dipendenti del settore una continuità lavorativa», ribadendo «la salubrità dei locali». I cinema infatti «non costituiscono quei grandi ’assembramenti di persone’ prefigurati dalle istituzioni e dall’immaginario collettivo». Al Lazio si accoda anche l’Umbria: il presidente dell’Anec della regione Riccardo Bizzarri spiega che gli esercenti si sono dati una settimana di tempo per capire se le misure messe in atto per tenere i cinema aperti avranno successo – e cioè se consentiranno un afflusso di pubblico tale da garantire la continuazione delle proiezioni. Bisogna infatti vedere se il pubblico andrà in sala – anche in considerazione dall’offerta limitata dovuta alla cancellazione di tante uscite – o preferirà tenersene alla larga.

IN ATTESA dei dati Cinetel che oggi cominceranno a fare luce sui numeri dell’emorragia del box office, le ricadute dell’emergenza sullo spettacolo dal vivo – dice ancora Barbuto – sono drammatiche. Non riguardano solo la chiusura dei teatri ma la psicosi in corso, e le spese sostenute per spettacoli che non si faranno. Le stime fatte qualche giorno fa per le regioni del nord interessate dalle ordinanze precedenti – perdite per oltre 10 milioni di euro e 5400 spettacoli cancellati – erano già catastrofiche. «Ma ora i danni economici sono incalcolabili».