I ballottaggi hanno origine antica: ballotte erano le sfere di oro o argento usate per l’elezione del Doge; ballotta era sinonimo di castagna e queste venivano utilizzate per contare i voti ai Priori delle arti a Firenze. Nel sistema elettorale italiano il ballottaggio per i sindaci è stato introdotto dopo tangentopoli per favorire la scelta della persona a scapito dei partiti delegittimati dalla corruzione.

Nel 2015 la Regione Toscana ha previsto il ballottaggio nel caso nessuno dei candidati raggiunga il 40%. Oggi la corruzione è penetrata anche tra le persone, i partiti quasi non esistono più, ma i ballottaggi restano.

Anzi, con l’Italicum, si parteciperà e si accederà al premio di maggioranza a prescindere dalla percentuale di consensi ottenuti. I Toscani di oggi hanno superato tutti i loro predecessori!

Da rimedio ad una degenerazione della politica, i ballottaggi di oggi stanno diventando causa di ulteriore degenerazione della sua qualità. Guardiamo al dibattito di questi giorni. Non si confrontano programmi e progetti costruiti con la partecipazione dei cittadini e con i partiti che li rappresentano. Si confrontano persone che sembra non abbiano storia ed appartenenze. Tutti vergini. I grandi campi ideali sinistra-destra, progressisti-conservatori in un momento si rimuovono come vecchi arnesi per poter conquistare elettori di altri schieramenti, ma un attimo dopo si riportano in vita per fare appelli al campo di appartenenza e chiedere fedeltà. Formazioni politiche al primo turno disprezzate e considerate avversarie vengono corteggiate per avere i “loro” voti. Chi ha distrutto il centro sinistra adesso si appella al suo spirito (spirito appunto!). In alcuni territori alcune forze sono alleate ed in altri avversari feroci.

Le accuse più frequenti ai concorrenti non riguardano le differenze programmatiche, ma il ”guarda chi sta con te!”. E dietro queste accuse non si sa bene quanto ci sia di ostilità e quanto di gelosia o invidia perché si sarebbe preferito che un sostenitore dell’avversario fosse un proprio sostenitore. Il ballottaggio rende tutte le alleanze intercambiabili. Insomma le parole, le collocazioni, i giudizi perdono ogni significato e ne acquistano uno opposto secondo il luogo, la persona, il giorno in cui vengono pronunciati.

Che l’astensione aumenti al primo ed ancor più al secondo turno, in questo panorama non deve meravigliare. Quasi quasi dovrebbe meravigliare la partecipazione al voto, questa caparbietà di chi insiste e resiste. Cittadini sballottati, ma ancora fedeli alla democrazia, devoti dell’appartenenza. Ed è da questo zoccolo duro che dipenderà l’esito dei ballottaggi di domenica.

Ma come mai ci siamo ridotti così? E perché da noi i processi avviati spesso si risolvono nel contrario di quanto si prevedeva? Quando – età veltroniana – si teorizzò il maggioritario, l’intenzione era di favorire il passaggio dal multipartitismo del proporzionale ad un sistema bipartitico. Sempre per amore dei modelli stranieri, mai studiati fino in fondo e tradotti sempre in salsa italiana in base alle convenienze del momento e di chi in quel momento governava. E sempre in ritardo, naturalmente.

Così mentre si pensava di semplificare dall’alto, in basso cresceva il malessere verso la politica e nasceva una forza, diversa e liquidata come populista, che oggi è diventata il primo “partito” d’Italia. Ed invece del bipolarismo ci troviamo di fronte ad un tripolarismo con un sistema che non lo contemplava. E per combattere il “nuovo populismo” invece di capirne le ragioni,i rinnovare se stessi e ritrovare radici, si è scelta la strada della concorrenza. Contro il populismo distruttivo di opposizione, dosi crescenti di populismo, ma di governo. Se il primo predica il reddito di cittadinanza, noi rispondiamo con gli ottanta euro ed alla politica dei no rispondiamo con la politica dei bonus. Su questo terreno, naturalmente, la destra non ha bisogno di riconvertirsi, ma di ritrovare se stessa. E così siamo passati dal multipartitismo al multipopulismo a tre. Troppi per un sistema con ballottaggi a due. Da qui incertezze, confusioni, imprevedibilità, incoerenze e contraddizioni di singoli e di formazioni politiche.

Cosa deve fare in questo scontro la terza grande forza che è esclusa? Ed ancor più cosa deve fare un’altra forza ancora più piccola, naturalmente esclusa? La sinistra ha scelto la terza via: non scegliere. Scelta comprensibile perché riflette travagli e rischi di ulteriori lacerazioni. Il momento è difficile e va bene. Ciascuno, poi, nell’urna farà la sua scelta.

Ma facciamola partendo da un fatto indubbiamente positivo: la cavalcata renziana è inciampata al primo ostacolo delle amministrative. Renzi voleva distrarci parlando di referendum, ma i fatti si sono imposti. Vedremo se si tratta di un semplice inciampo, di un arresto o di una inversione di tendenza. Ma senza dubbio siamo di fronte ad un fatto nuovo. E non è un caso che negli ambienti economici e di opinione prima schierati, qualcosa comincia a cambiare e la sua stessa immagine ad apparire ferma e ripetitiva. Renzi, insomma, comincia a stancare anche i suoi.

Se anche al ballottaggio subirà una sconfitta, potremo affrontare il referendum con maggiore energia e speranza. E la sinistra interna sarà spinta a scegliere ad impedire che Renzi vinca il referendum e ci porti alle elezioni con l’Italicum.

Sull’altro versante i Cinquestelle saranno chiamati comunque ad un salto di qualità: a responsabilità di governo, a politiche positive e costruttive, ad aprirsi, forti del loro successo, a relazioni con altri. Che la candidata sindaca a Roma si riprometta di avere come assessore all’urbanistica una persona come Paolo Berdini, tanto integerrima quanto di sinistra, già parla della fase nuova che si può aprire ed anche di una idea di città diversa ed alternativa a quella dei costruttori già pronti ai nastri di partenza delle olimpiadi.

Per la sinistra uscita non bene (ma non era facile in questa competizione dura affrontata col massimo di fragilità organizzativa e col minimo di leadership) si impone il salto di qualità: nel nuovo scenario tripolare non serve imprigionarsi nelle formulette rassicuranti del “mai col Pd” o del “salviamo il salvabile del centro sinistra” come non serve affiancare, senza riuscire né a fonderle né a moltiplicarle, le forze della sinistra che fu.

Escludendo di aggregarsi ad una delle macroforze esistenti, per la sinistra l’unica strada possibile è quella di costruire una “postazione” di iniziativa e di elaborazione, autonoma, ma aperta e dialogante, critica e costruttiva, che sappia muoversi nel panorama in movimento che la circonda, vivendoci dentro ed alimentandolo sia a livello sociale che politico.

Sinistra Italiana (per favore non cambiamo ancora nome) può esserlo. Se saprà nel vivo degli impegni dei prossimi mesi, evidenziare perlomeno tre pilastri del nuovo edificio (reddito di cittadinanza attiva, riduzione degli orari e redistribuzione del lavoro, intervento pubblico per la riconversione ed il rilancio) e far emergere il potenziale di energie affacciatesi in Cosmopolitica (magari evitando che anche le nuove forze si imprigionino in vecchie logiche di lotte interne, di potere e di cordate).

Se tutto questo non dovesse accadere Renzi rialzerà la testa. Già promette e minaccia di aggiungere alla prima legislatura senza essere eletto, altre due con la legge che si è fatto su misura. Ci basta la mezza legislatura fatta, penso.