La federazione nazionale della stampa ha pubblicato la scorsa domenica inserzioni ad intera pagina su diversi quotidiani per denunciare la situazione intollerabile in cui si trova l’informazione italiana. A fronte di un’apparente calma nella rappresentazione che danno di sé le principali testate, assai simili ed omologate, sotto la superficie dei segni visibili c’è l’inferno.

Non una delle richieste del sindacato è stata accolta dall’attuale esecutivo, al di là delle parole positive e dell’impegno del sottosegretario con delega Giuseppe Moles.

La FNSI ha chiesto, infatti, risposte chiare sul precariato (ormai la forma di lavoro sottopagato dilagante), sull’applicazione della legge n.233 del 2012 in materia di equo compenso, sullo stop da mettere alle querele temerarie, sul futuro dell’istituto di previdenza dei giornalisti. Inoltre, approssimandosi la discussione sulla legge di bilancio, è doveroso dare finalmente stabilità al fondo per il pluralismo e l’innovazione, evitando lo strazio periodico delle tagliole. Com’è stato ampiamente analizzato, in moltissimi paesi esiste un intervento pubblico di sostegno delle componenti più deboli del sistema.

Su tutto ciò non si vede la luce e ben venga, quindi, la protesta. Quest’ultima, ovviamente, diviene forte se si intreccia con la costruzione di un vero progetto di riforma. Purtroppo, dello sbandierato tavolo per una nuova normativa di settore (4.0, o 5.0 che sia) non c’è traccia e lo stesso piano di ripresa e resilienza (PNRR) si limita a poche righe dedicate specificamente ai giornali.

La disoccupazione aumenta e il ricorso da parte degli editori ai pre-pensionamenti o agli scivoli (supportati dal citato INPGI) sta diventando una pratica assurda e distruttiva. Infatti, il ricambio generazionale è scarsissimo e, quando c’è, viene segnato da una netta discriminazione. Mentre ad eguale lavoro dovrebbe corrispondere uguale trattamento. Al contrario, fioriscono contrattini gialli e corporativi.

Se non si corregge, poi, la logica dei tagli del fondo per il pluralismo, nel 2024 il rubinetto inizierà a prosciugarsi. Non solo. Incombe un ulteriore rischio, vale a dire la proposta alquanto curiosa dell’amministratore delegato della Rai Fuortes di trattenere gli interi proventi del canone. Tradotto: 100 milioni di euro tolti al fondo. Meglio farebbe l’efficiente dirigente del servizio pubblico ad occuparsi della brutta pagina contenuta nel decreto legislativo che attua la direttiva europea 2018/1808 sui servizi media audiovisivi.

Nel testo, salvo ripensamenti nei pareri delle competenti commissioni di camera e senato, alberga un pasticcio ai danni della Rai: si rimodulano gli affollamenti pubblicitari, con un danno per l’azienda di un centinaio di milioni. Più o meno la stessa quota eventualmente acquisita con il canone.
C’è materia davvero per una vertenza nazionale, possibilmente supportata da adeguate forme di lotta.

Le paginate scritte dalla federazione della stampa chiamano in causa il governo e il parlamento, ma riguardano anche l’organizzazione degli editori, ormai rinchiusa in sé stessa. Belli i tempi in cui la FIEG era protagonista della riforma, quella del 1981 (n.416), tuttora riferimento in un mondo che ha oggi il vestito digitale.

Da lì sarebbe opportuno ripartire con determinazione e creatività, in un confronto aperto e partecipato. Insomma, si comprenda dalle parti di palazzo Chigi che l’informazione non è solo la ripetitiva strisciata alienante dei talk, bensì un girone dantesco di schiavitù e sofferenze. Tanto per ricordarlo, se necessario, non si contano ormai le giornaliste e i giornalisti che rischiano o perdono la vita, vengono aggrediti dai neo-fascisti e dai criminali, o subiscono minacce da gruppi di potere.

Il presidente Mattarella è tornato su tali argomenti con parole preoccupate e non è lecito guardarsi dall’altra parte.
PS: nella rubrica della settimana passata si attribuiva al presidente dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni Lasorella una parola sbagliata. Aveva affermato nell’audizione del 5 ottobre presso la commissione di vigilanza sulla Rai che l’Agcom interviene prevalentemente sulla scorta di ricorsi contro le violazioni della normativa sulla par condicio. Si era scritto, impropriamente, solo.