Far ridere la presentatrice di un telegiornale economico giapponese è tutt’altro che facile. Ancora meno facile è farla giocare a una console in diretta televisiva, facendola scoppiare in risolini tra l’emozione e l’imbarazzo. A fine 2006, Satoru Iwata, presidente e amministratore delegato della Nintendo scomparso la scorsa settimana all’età di 55 anni per un tumore, era stato ospite del notiziario del canale satellitare Nikkei Cnbc per mostrare il nuovo prodotto di casa Nintendo: la Wii.

Iwata prende il gamepad – a forma di telecomando tv, il tratto distintivo della console – lo punta verso lo schermo montato in studio e con un movimento del polso, fa partire il gioco: una partita di tennis. Pochi secondi dopo tocca a Yuko Ezure, la giornalista in studio. «Io di videogiochi non ne capisco niente». Iwata, le mette in mano il telecomando. Un paio di scambi e la giornalista mette a segno un punto. «Ah! Ci sono riuscita anche io!», si stupisce. «Bravissima!», le risponde Iwata battendo le mani soddisfatto. Dall’altra parte del Pacifico, mentre Iwata e Ezure si divertivano in diretta tv, la Wii aveva già registrato il tutto esaurito, mentre qualche negozio di Tokyo aveva dovuto fermare le prenotazioni.

La Wii aveva introdotto un’esperienza di gioco totalmente innovativa. Non importava quanto si fosse bravi con tasti e levette. Dopo il boom degli anni ottanta, la Wii aveva segnato l’inizio della seconda età dell’oro per Nintendo. Ora l’azienda di Kyoto, Giappone centro occidentale, si trova a dover gestire un nuovo passaggio epocale senza il suo leader per oltre un decennio. A marzo di quest’anno Nintendo ha stretto un accordo con DeNa, leader giapponese nello sviluppo di giochi per cellulare, abbandonando la politica orientata alle sole console.

Quello di Nintendo è tra i brand più conosciuti del made in Japan. Le sue console domestiche e portatili hanno fatto la storia degli ultimi trent’anni. Basti pensare che le vendite del Nintendo Ds, uno dei prodotti dell’era Iwata ad oggi il più venduto della storia dell’azienda, ammontano a 154 milioni di unità e quelle della Wii a oltre 100 milioni. Insieme allo storico Gameboy – 120 milioni di unità – sono i prodotti simbolo dell’azienda di Kyoto, fondata alla fine dell’ottocento come fabbrica di carte da gioco.

«La tecnologia ha reso la vita più semplice e più efficiente. Ma dobbiamo chiederci che effetto abbia avuto sulle relazioni umane», spiegava Iwata nel 2012 in un video pubblicato per presentare la console Wii U, l’evoluzione della Wii. «La nostra sfida è di creare qualcosa che aiuti ad unire le persone piuttosto che dividerle. Che siano nella stessa stanza o a grandi distanze». Sotto la sua dirigenza, la Nintendo ha iniziato ad avvicinarsi a utenti e fan sfruttando le potenzialità del web.

Era il presidente stesso a mostrarsi in video per comunicare novità, informazioni e dettagli. Una delle «invenzioni» di Iwata è l’appuntamento online Nintendo Direct, una serie di video in cui il presidente si rivolgeva agli utenti per dare in modo diretto informazioni, prospettive dall’interno dei quartieri generali della Nintendo a Kyoto. Iwata aveva poi uno spazio tutto suo sul sito aziendale, Iwata Asks, in cui a intervalli regolari intervistava produttori e sviluppatori dei videogiochi dell’azienda.

Nato nell’isola più a nord dell’arcipelago giapponese, lo Hokkaido, Satoru Iwata dopo le scuole entra all’Istituto di tecnologia di Tokyo. Durante gli studi inizia a lavorare part-time per una piccola casa di produzione di videogiochi, la Hal. È il 1983. Gli anni 80 non sono stati certo un’epoca felice per l’industria globale dei videogame. L’anno in cui Iwata entra in Hal è ricordato per la «crisi dei videogiochi». Il mercato di console e videogiochi aveva raggiunto la saturazione e iniziava a soffrire della concorrenza dei personal computer. L’immagine più rappresentativa degli anni tra il 1983 e il 1985 sono le centinaia di cartucce del videogioco E.t. della Atari, tratto dall’omonimo film di Steven Spielberg, sotterrate in una discarica nei pressi della città di Alamogordo in New Mexico, Stati uniti.

La crisi non aveva toccato però il Giappone. Anzi. L’83 è lo stesso anno in cui Nintendo inizia a distribuire in Giappone il Famicom, esportato poi in Europa e Nord America come Nintendo Entertainment System a partire dal 1985. Il Nes diventa la console più venduta tra gli Ottanta e i Novanta.

Ma soprattutto determina uno spostamento degli equilibri strategici del settore. Dagli Usa al Giappone sola andata. Almeno per ora. Alla Hal, Iwata inizia a lavorare per e con Nintendo. Uno dei lavori a cui contribuisce come produttore, Balloon Fight, viene distribuito per la console dell’azienda di Kyoto.

Con il Game Boy, la console portatile uscita nel 1989 un altro dei videogame firmati da Iwata arriva al grande pubblico. Si tratta di Kirby’s Dreamland, un altro gioco – hanno scritto sul Guardian Rich Stanton e Keith Stuart – «che chiunque poteva giocare dall’inizio alla fine indipendentemente dalle sue doti di giocatore».

Nel 1993, Iwata diventa presidente della Hal e stringendo i rapporti con Nintendo la tira fuori da una difficile situazione economica. Sette anni più tardi, a 41 anni, entra nell’azienda guidata dal «padrino dei videogame» Hiroshi Yamauchi che lo nomina a capo del dipartimento per la strategia aziendale. Appena due anni dopo, Yamauchi, a capo di Nintendo dal 1949, lascia proprio a Iwata la gestione dell’azienda di famiglia. Iwata è il primo esterno non di famiglia a diventare presidente dell’azienda.

A settembre 2014, Iwata decide di tagliarsi lo stipendio. Una scelta fatta per restare fedele a un altro principio fondamentale dell’azienda: tanoshimi (divertimento).