Come si diventa poeti. Potrebbe essere questa la dicitura di accompagno per il debutto di Boris Pasternak, cui avrebbe dato  risposta, dieci anni dopo, l’incipit di una sua poesia: «Così si inizia. Sui due anni si passa/dalla balia al buio delle melodie…».  A una lettura attenta dei cinque volumi  che si propongono di restituire «tutto Pasternak lirico», ora arricchiti del sesto e penultimo Il gemello sulle nuvole (a cura di Paola Ferretti, Passigli,  pp. 137, € 18,50) non sfugge la costante interrogazione sulla essenza della poesia e la sua genesi, fino all’ultima silloge di Quando rasserena (1956), dove a Pasternak  sembrerà di aver raggiunto la «inaudita semplicità» auspicata e ricercata a partire dai versi di  Seconda nascita (1932). Chi ami la sua poesia sarà certo riconoscente per il dispiegato ventaglio di liriche che ne restituisce appieno l’intera arcata, in parte scoperta da molti di noi nella prima folgorante antologia einaudiana del 1957, curata da Angelo Maria Ripellino.

Preziosa versione del libro di esordio, restituito per la prima volta integralmente, questo  Gemello sulle nuvole, andrebbe letto a ritroso, riavvolgendo il filo d’Arianna che dal «buio delle melodie» porta verso approdi già noti, che esaltano nel lettore accorto la «gioia del riconoscere», di cui scriveva Osip Mandel’štam. Tornano infatti  alcune immagini eponime, certe audaci assonanze, l’uso del ramage di parola da una medesima radice, rime audacissime e spesso improprie.

La propensione al sottosopra si annuncia, con l’alterarsi dei rapporti spaziali, per esempio  in Cuori e satelliti, esaltato appello a Mosca: «Dove i balconi inclinano all’onda, e in cielo la mobilia vetusta/si innalza, attrezzeria celeste».  Altrove,  l’uso dell’occhio smbra quasi dotato di una lente bifocale che stravolge la proporzione degli oggetti: ora miniaturizza ora amplifica le cose. Più evidente ancora, risuona la voce ‘arborea’ di Pasternak, individuata già dai primi esegeti come Tynjanov o Cvetaeva:  lui-albero-nuvola-erba, «acquazzone» e «spruzzaglia», fusione primordiale di Natura, «respiro origliato» che si trasfonde nel petto del poeta. Il libro  s’ingegna di mantenere e svolgere l’assunto del titolo: Il gemello, che è costellazione e corporeità, rivelazione binaria dell’intero universo, riproposto nell’esplicita citazione della coppia immortale di Castore e Polluce e via via individuata nella svariata serie del duplice e del doppio offerta dal mondo intorno: dai binari ferroviari alla partizione del giorno in luce e tenebra, un Doppelgänger che rivela la frequentazione della letteratura tedesca e l’ascendenza ancora simbolista di immagini e procedimenti. Spesso l’esordiente poeta, appena recisa la vocazione musicale, intreccia i versi in una complessa partitura di cifrati anagrammi, una «criptografia» secondo Marina Cvetaeva, lambiccati calembour, scomposizione di sintagmi abituali che rendono difficoltosa l’emersione del senso.

Pasternak stesso ne rifiuterà, nell’autobiografia del 1956, l’aspetto più cerebrale e involuto, come una «astruseria cosmologica».  Merito non secondario di questo libro, l’aver incluso anche le ‘revisioni’, a volte vere e proprie riscritture, offrendo così al lettore un particolare breviario, il farsi di una poetica, preludio alla piena esecuzione della partitura.

La brillante traduzione piega l’italiano alle ardite trovate lessicali (abbondano termini arcaici, desueti, tecnici, astronomici) escogitando altrettante sonorità e virtuosismi, come il «gatteggio del vetro mogio» oppure la resa di indelebili aperture: «Stazione, cassaforte ignifuga/dei miei congedi, dei miei incontri». Sono guida imprescindibile l’Introduzione e le Note, che ne sciolgono i nodi intricati e riassestano la singolare sintassi che a Tynjanov era apparsa come una  «imitazione illusoria», e tuttavia « quasi impeccabile».