La storia naturale è una tradizione di ricerca che ha radici profonde: domina la scena occidentale da Plinio il vecchio fino a De Buffon (quindi dal I sec. d.c. al XVIII). Il sintagma è, però, paradossale: come fa una storia a essere naturale? In che senso la natura può seguire una traiettoria storica? Il genere letterario inaugurato da Plinio schiaccia le due dimensioni su un unico piano narrativo poiché descrive senza soluzione di continuità le varietà botaniche dei gigli, i modi in cui è possibile coltivarli, la «severità degli antichi circa le corone di fiori».
Con l’affermarsi della teoria evoluzionistica di Darwin la storia naturale subisce un processo di frammentazione. Già in Goethe aveva assunto una piega morfologica poiché mirava a ritrovare nella diversità naturale, le piante ad esempio, metamorfosi di forme originarie come la foglia. In Marx acquista una connotazione antropologica: si riferisce al modo tutto umano nel quale i sapiens sopravvivono grazie alla contingenza di mezzi produttivi, usi, istituzioni. Soprattutto nella seconda parte del Novecento, l’espressione assume un risvolto riduzionista perché incarna il tentativo di ricondurre la storia umana alla biologia.

Una simile frammentazione non ha spazzato via quell’ordine del discorso nel quale la scienza e la letteratura trovano un punto di congiunzione. A darne conferma è un recente saggio di Caspar Henderson, Il libro degli esseri a malapena immaginabili (Adelphi, pp. 543, euro  34,00), dove riferendosi esplicitamente a uno scritto di Calvino circa l’Historia naturalis di Plinio, l’autore dichiara che il metodo procederà per «accostamenti improvvisi» tra temi apparentemente distanti allo scopo di gettar «luce sulle possibilità e gli interessi dell’uomo».

La storia naturale ha sempre mostrato una forte predisposizione all’impiego concreto: è stata il deposito, ad esempio, di conoscenze tecniche indispensabili per l’agricoltura. Henderson ricalibra questa dimensione pratica secondo un parametro originale, di stampo ecologista, e propone una ricognizione corposa, nonché dichiaratamente asistematica, delle specie animali per contribuire alla difesa della loro biodiversità. Il libro è non solo molto curato, ma impreziosito da foto nitide, note evidenziate in rosso, illustrazioni originali e passaggi di sezione segnalati da eleganti fogli bicolori. In questa «camera delle meraviglie», figure non proprio poetiche mostrano proprietà impreviste: a partire dall’epoca del Cambriano, «i vermi di velluto» colonizzano gli habitat più diversi grazie a gerarchie sociali complesse e alla ritualizzazione dei processi di accoppiamento. La sezione dedicata ai macachi giapponesi offre sorprese ulteriori: dopo la seconda guerra mondiale, alcuni gruppi dei primati più adatti a luoghi freddi imparano dagli umani a bagnarsi in sorgenti calde; una specie oggi a rischio di estinzione è in grado di comportamenti cooperativi tali da far vivere a lungo una femmina priva di mani e piedi, altrimenti incapace di provvedere al proprio sostentamento. Una delle sezioni più appassionanti è forse il capitolo sulle ammoniti, molluschi che vivono in gusci a forma di spirale.Il nome della specie, coniato da Plinio, allude alla divinità egizia Ammone, raffigurata di solito con corna ripiegate a mo’ di ariete. Il riferimento esotico evoca l’alone di mistero circa una forma affascinante quanto difficile da decifrare.

Durante il medioevo la dottrina cristiana impose di considerarle cristalli rocciosi stranamente somiglianti a organismi viventi o, al massimo, creature marine depositatesi sui pendii montani a causa del diluvio universale. Proprio il confronto tra queste conchiglie dentellate e la variante liscia abitata dal nautilo, parente prossimo dei polpi, contribuì a produrre più di una crepa nell’edificio creazionista, perché manifestazione lampante di una vita che si trasforma.

Più tardi si sarebbe scoperto, infatti, che nel corso di milioni di anni i gusci abitati dal nautilo hanno registrato cambiamenti addirittura interplanetari. Le loro spirali sono il prodotto della secrezione di piccole lamine, che si attiva al cambiare delle maree. Gli involucri che proteggono queste piccole forme di vita sono il risultato, dunque, di cicli temporali scadenzati dall’influenza della Luna sulla Terra.
Poiché si tratta di una specie che ha origine quasi 500 milioni di anni fa, il cambiamento morfologico dei gusci (il numero di lamine che ne costituisce la spirale) non è modulato solo dalla selezione naturale ma addirittura dalla trasformazione del rapporto tra la Terra e il suo satellite. Nel momento della prima diffusione dei nautili il nostro pianeta ruotava più velocemente sul proprio asse e la Luna gli era più vicina: le varietà strutturali delle conchiglie hanno contribuito alla comprensione di quanto, mezzo miliardo di anni fa, fosse lungo un giorno (21 ore) e un anno (417 giorni) terrestre.

Ogni genere letterario, ricorda il filosofo Enzo Melandri, non è solo una scelta stilistica: è l’immersione in un orizzonte linguistico che permette di mettere a fuoco alcuni aspetti della nostra esperienza oscurandone, inevitabilmente, altri. Il genere «storia naturale classica» cui si affida Henderson non fa eccezione. Il libro avvolge il lettore in rimandi che ottengono l’effetto desiderato: non si soffermano sulla descrizione di specie animali disneyane, forniscono invece panoramiche ardite che dalla semplicità oculare del nautilo arrivino alle prime camere oscure della fotografia ottocentesca. Le cose diventano più intricate quando si arriva alla trattazione degli esseri umani. Qualche volta l’autore è tentato dall’antropomorfismo: i macachi formerebbero «club», i delfini lavorerebbero «solo poche al giorno» dedicando il resto tempo a giocare «ad acchiapparello». Il rischio di esser rapiti dal demone dell’analogia diviene tangibile quando, a proposito dell’aggressività interna alle specie di primati, si afferma in modo perentorio: «ciò che vale per la scimmia vale per l’uomo».
Un pericolo simile si avverte nelle pagine appassionate con le quali Henderson mostra grande fiducia nell’idea che saremmo «animali musicali»: la musica avrebbe un ruolo adattivo come le pinne per chi nuota in mare, poiché accrescerebbe il nostro «senso di vitalità e volontà».

Tuttavia, proprio nelle pagine finali, il libro ha il merito di tentare il superamento delle difficoltà, tipiche del genere letterario, di inquadrare la specificità del tempo umano. Henderson è attratto dalla possibilità di ridurre la trasformazione storica al «tempo profondo» delle ere geologiche. Eppure, denuncia l’esigenza di una prospettiva che superi il bivio paralizzante tra l’eterno presente di un mondo che pare immutabile e la catastrofe inevitabile cui sembra condurci il capitalismo contemporaneo. «Durante le manifestazioni di Occupy Wall Street», conclude, «su un cartello era scritto: L’inizio è vicino. Mi piace. Il mondo di mia figlia, e il vostro, è solo all’inizio».