Domani alle 12 al Quirinale i «saggi» consegneranno a Napolitano i documenti conclusivi sulle riforme economiche e istituzionali. Le due commissioni non presenteranno articolati di legge ma una lista di princìpi condivisi e ipotesi di lavoro per il Colle e il parlamento. Anche se i «saggi» (per loro stessa ammissione) concludono i lavori molto più «depotenziati» di come l’avevano iniziato, sarà interessante sapere, soprattutto, se esiste o no un accordo di massima sulla riforma elettorale.

Anche se se ne parla almeno dal 2008, «parlarne oggi è prematuro», dicono da Pd e Sel. Prima c’è il nodo Quirinale, poi quello governo e poi tutto il resto. Però forse per la prima volta un’intesa di massima tra Pd e Pdl in fondo al tunnel dello stallo si intravede davvero. Sul tavolo dei «saggi» pendono essenzialmente due strade: o una correzione del «porcellum» o con un ritorno al «mattarellum». Entrambe hanno vantaggi e svantaggi, tempi e modi che a qualcuno convengono e a qualcun’altro no. In fondo la legge elettorale è un meccanismo che trasforma i voti in seggi e i seggi in eletti con un nome e cognome.

Correggere il «porcellum» ha un vantaggio: è l’unico sistema che in tempi rapidi (voto a ottobre) e ritoccato opportunamente potrebbe garantire la «governabilità» almeno alle coalizioni. I «saggi» (e i partiti di riferimento) hanno esplorato sia una soglia per il raggiungimento del premio di maggioranza sia un premio fisso, un “bonus” di seggi da dare al vincitore. Per ovviare alle liste bloccate inoltre si potrebbe introdurre la doppia preferenza di genere oppure aumentare le circoscrizioni da 26 a 40 in modo da «accorciare» la lista dei candidati rendendoli più «riconoscibili» per gli elettori. Ma il problema, com’è noto, è soprattutto il senato, per ritoccare il quale serve una riforma costituzionale seria e lunga almeno quattro mesi con un accordo blindato.

L’ipotesi più facile perciò è il ritorno al «mattarellum» (che piace a Pd, Sel e M5S) con alcuni correttivi (abolire scorporo, obbligo di coalizione unica sul territorio nazionale, divieto liste civetta, etc.).

«Col mattarellum si potrebbe tornare a votare in qualsiasi momento ripristinando temporaneamente i collegi del ’93», assicura Antonio Agosta, professore di scienza politica all’università di Roma Tre e uno degli esperti di riferimento di Viminale e parlamento sulla legge elettorale. L’unica modifica obbligatoria sarebbe una norma transitoria che in attesa dei nuovi collegi sottrae i 12 deputati e i 6 senatori eletti all’estero dalla quota del 25% scelta col proporzionale.

[do action=”citazione”]Nessun accordo definito ma Pd e Pdl potrebbero convergere su collegi uninominali senza proporzionale[/do]

 

Tutto bene? No, tutto male. Approvare il «mattarellum» in un quadro politico fatto di tre poli equivalenti (Pd, Pdl e M5S) non garantirebbe matematicamente nessun vincitore. Le simulazioni con i voti di febbraio sono già state fatte e perfino consegnate ai partiti e ai «saggi». Monti sparirebbe e Berlusconi vincerebbe sia alla camera che al senato, anche se non avrebbe la maggioranza assoluta. Anche tornando a votare dovrebbe perciò nascere per forza un «governissimo» tra due partiti (come accaduto in Inghilterra tra tory e lib-dem).

A meno che… il grimaldello per provare a garantire la «governabilità» potrebbe essere la sostituzione del senato con un senato di consiglieri regionali e la riduzione dei deputati eletti (ipotesi tra l’altro molto popolare). Passando da 630 a 475 (come i collegi uninominali del «mattarellum») potrebbe essere abolito il 25% di quota proporzionale lasciando solo il maggioritario. Per farlo basterebbe modificare velocemente il numero di deputati scritto nella Costituzione: 3 caratteri. Gli effetti politici però sarebbero notevoli: «la riduzione dei parlamentari penalizza i partiti più piccoli e intermedi», spiega Agosta e tra i grandi chi ha più filo tesserà la sua tela.