«Boccaccio quando è più scandaloso [at his hottest] mi sembra meno pornografico di Pamela o Clarissa Harlowe o anche Jane Eyre o un manipolo di altri libri e film che passano indenni il vaglio della censura», scriveva D. H. Lawrence per difendersi dall’accusa di oscenità rivolta tanto al suo romanzo, L’amante di lady Chatterley, quanto ai suoi dipinti, appena esposti a Londra. Il 5 luglio 1929 la polizia aveva fatto irruzione nella sua mostra alla Warren Gallery e confiscato tredici quadri. Pochi mesi prima, tra gennaio e febbraio, alcune copie del romanzo inviate al suo agente a Londra, Laurence Pollinger, erano state intercettate da Scotland Yard. Non gli restava che Boccaccio: «O my nice Boccaccio, O how goes your pretty tale / locked up in a dungeon cell / with Eve and the Amazon, the Lizard and the frail / Renascence, all sent to hell».
La poesia s’intitola 13 Pictures e si trova nel quaderno dei Nettles, la raccolta poetica cui Lawrence affidò la risposta al sequestro, ma non venne inclusa nell’edizione a stampa. Il riferimento è al quadro Boccaccio’s Story (1926), che interpreta la novella di Masetto di Lamporecchio con un omaggio vistoso a quel particolare del suo corpo che tanto indusse in tentazione le monache del convento in cui lavorava come giardiniere, fingendosi muto: Masetto giace seminudo, addormentato, il membro scoperto in evidenza, mentre intorno a lui, in piena luce, si dispiega la danza sacrale delle suore, che contemplano adoranti. Un messaggio religioso, rivolto alla palingenesi dell’umanità nel segno del corpo, che era l’obiettivo di Lawrence in tutta la sua attività poetica, pittorica e intellettuale.
Perché Lawrence si rivolgeva a Boccaccio per proporre il suo messaggio e rivendicare la sua innocenza? Boccaccio era sinonimo, nella cultura inglese del tempo, di pornografia; ma portava anche con sé l’aura della letterarietà, dell’antichità e dell’italianità. Oggetto di un pregiudizio nella cultura popolare, ma anche dotato di prestigio e distinzione di classe nella cultura intellettuale: opponendosi alle prurigini e ai moralismi della società inglese del tempo, Lawrence faceva di Boccaccio un alter ego, un avatar rivolto al rinnovamento del mondo e incompreso dai benpensanti. Boccaccio ritorna infatti nel saggio Pornography and Obscenity (1929) da cui siamo partiti: «al vero pornografo Boccaccio non può proprio piacere, perché la sana fresca naturalezza del novelliere italiano fa sentire il moderno maniaco quel lurido verme che è». Il punto è che Boccaccio descrive il sesso alla luce del sole, invece di alludervi in maniera furtiva e colpevole: «la pura e semplice eccitazione sessuale, assolutamente aperta e salutare, che si trova in alcune delle storie di Boccaccio, non deve essere confusa neppure per un minuto con l’eccitazione furtiva suscitata dal contatto, in tutta segretezza, col piccolo segreto sconcio nei best-sellers moderni». Si arriva così alla conclusione, scandalosa per la cultura del tempo, che «i libri di Sir James Barry e Mr Galsworthy (…) sono di gran lunga più pornografici delle storie più esuberanti del Decameron: perché solleticano il piccolo segreto sconcio e incitano alla masturbazione privata, cosa che non fa mai il sano Boccaccio».
Elitario anziché pop, Boccaccio passava da dirty pleasure a maestro di liberazione sessuale. È forse perciò che Lawrence è a stento nominato nella recente, lussureggiante esplorazione di Marco Bardini – Boccaccio pop Usi, riusi e abusi del Decameron nella contemporaneità (Edizioni ETS, con 334 illustrazioni, pp. 501, euro 39,00) –, che ci conduce, in una vera e propria Wunderkammer di barocca costruzione, da Boccaccio legge il Decameron alla regina Giovanna di Napoli di Gustave Wappers (1849), attraverso la breve stagione cinematografica dei decamerotici, fino ai Boccaccio Decanters della Casa Vinicola Boccaccio di Certaldo, all’intimo maschile della Bocaccio Uomo (sic!) americana e all’eau de toilette Boccaccio dell’azienda cosmetica tedesca Magma. Dopo un anno trascorso ad ascoltare accademici che ci hanno spiegato quanto sia pop Dante, con una contraddizione intrinseca all’operazione, perché pop nasce storicamente in opposizione a élite, mentre ora l’élite vuole appropriarsene per dimostrare, dall’alto, la sua vicinanza al popolo, eppure con un quid di competenza e intelligenza in più, la lettura del libro di Bardini è davvero salutare: pop non è una facile chiave d’accesso a operazioni propagandistiche o pubblicitarie, ma piuttosto la misura della penetrazione di un classico all’interno di un mondo che non gli appartiene e che di lui si appropria, risemantizzandolo e rifunzionalizzandolo, ma forse anche, proprio perciò, rivitalizzandolo e sacralizzandolo.
Icona di un passato che viene investito di aura simbolica per il solo fatto di essere passato, il classico divenuto pop si fa indice di distinzione, entrando in quel capitale simbolico in cui l’élite sociale dominante si riconosce: fino a nobilitare persino ciò che di per sé non potrebbe essere nobilitato, come il soft-porn (con Sylva Koscina grande protagonista di una stagione forse da rivalutare del cinema italiano, stante l’autorità fantozziana dei Kotiomkin, autori dell’album Lo albicocco al curaro – Decameron 666, del 2018). Ma Boccaccio è stato anche questo, perché la sua ricezione si è sempre mossa tra lubrica curiosità e idealizzata sublimazione, fino a divenire, come personaggio, un altro Dante e un altro Petrarca, nella gemellarità della sua storia con Fiammetta rispetto a quelle loro con Beatrice e Laura: strumentalizzazioni, ideologizzazioni e appropriazioni che rivelano una ricezione dalla capillarità diffusa e dal fondo perduto. Boccaccio pluralizzato, allora, non più solo nell’interpretazione critica, come suggeriva il bel libro di verifica sperimentale dei metodi ermeneutici curato da Mario Lavagetto quarant’anni fa, ma proprio nell’accoglimento culturale, in cui il pop è definitivamente diventato l’altra faccia dell’elitario, dismessa ogni carica di contestazione e alternativa.
Si va dal Boccaccio rifiutato di Heinrich von Schullern (Boccaccio auf Schloß Tirol, 1932), in cui Margareta Maultasch, contessa del Tirolo e duchessa di Carinzia, scopre che il fascinoso ed eloquente autore dell’Ameto e della Fiammetta, di cui si è innamorata per fama, si è trasformato nel plebeo e offensivo scrittore del Decameron e del Corbaccio, al Boccaccio capovolto di Steven James (The Knight, 2009), in cui un serial killer di nome Giovanni uccide le sue vittime ispirandosi alla quarta giornata del Decameron per ristabilire l’ordine e la moralità. Ma al centro c’è soprattutto il cinema, che al Decameron ha chiesto un erotismo discreto (l’hollywoodiano matrimoniale Decameron Nights di Hugo Fregonese, 1953) oppure spinto (il porno gay di Lucas Kazan, Decameron. Two Naugthy Tales, 2005), fino al trash assoluto di Decameron Pie di David Leland (2007). La rappresentazione della peste, in tempi di Covid, ha aperto un nuovo capitolo, con l’inevitabile Boccaccio con mascherina.
Bardini non si limita a un catalogo, ma individua alcune linee portanti di questo Boccaccio popolarizzato e commercializzato, reinterpretato e rinverdito, trasformato in altro e illuminato di fresco: Boccaccini, Galeotti, Decameronidi e Decamerotici sono i personaggi che popolano una vera e propria saga, che fa convergere il Boccaccio stigmatizzato e quello idealizzato, gli usi fascisti e quelli pasoliniani, in una danza tarantolata intorno al libro che resta fondante della nostra modernità, certamente più della Divina Commedia e dei Rerum Vulgarium Fragmenta. Se fosse anche per una sola citazione, questo saggio va letto perché ridefinisce i rapporti di forza, dentro l’egemonia culturale contemporanea, tra le tre corone della letteratura italiana: «Dante è un dark cult per geek sensibili al fascino dalle rugginose macchine infernali dello steampunk; Petrarca è uno zombie, con qualche inespressa potenzialità camp. Ma solo Boccaccio è l’unica, vera pop star della letteratura italiana».