L’8 febbraio 1872, per la prima volta in Italia e nell’Europa intera, veniva messa in scena, al Teatro alla Scala di Milano, l’Aida di Giuseppe Verdi. L’opera era già stata rappresentata nel nuovissimo Teatro khediviale del Cairo, nel dicembre del 1871, a suggello dell’inaugurazione ufficiale del canale di Suez, avvenuta due anni prima, nel novembre del 1869. Il ritardo fu dovuto in parte alla catastrofica sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana che impedì l’arrivò delle scenografie e dei costumi da Parigi nei tempi concordati. Al Cairo il pubblico era rappresentato in larga parte da diplomatici, critici musicali e personalità del bel mondo espressamente invitati alla cerimonia. Secondo la testimonianza di Filippo Filippi, inviato del quotidiano milanese La Perseveranza, l’esordio dell’Aida fu accolto con entusiasmo. Verdi, che temeva la traversata del Mediterraneo, non prese parte alla rappresentazione cairota e considerò quindi quella milanese come il vero banco di prova per la sua nuova composizione. Preoccupato del giudizio dell’esigente pubblico della Scala, il compositore di Busseto supervisionò personalmente la formazione dell’orchestra e della compagnia; si preoccupò inoltre del direttore e dello scenografo. A giudicare dalle reazioni entusiastiche del pubblico intervenuto e dal vero e proprio successo planetario che ne seguì, si può ragionevolmente pensare che le sue aspettative non venissero disattese.

A distanza di centocinquant’anni il Museo Egizio di Torino celebra quell’avvenimento con la mostra Aida. Figlia di due mondi (fino al 5 giugno 2022 nelle sale dedicate all’archeologo siriano Khaled Al-Asaad).

Egittologia e opera lirica naturalmente, ma non soltanto questo. L’esposizione curata da Enrico Ferraris non si limita infatti a presentare il lampante e un po’ scontato rapporto tra l’Aida e l’Antico Egitto che le fa da sfondo. Al contrario, si pone l’obiettivo più ambizioso di tratteggiare la travagliata genesi dell’opera, calandola nel complesso contesto culturale e politico della seconda metà dell’Ottocento.

In questa prospettiva, il titolo della mostra risulta quanto mai evocativo. Alle radici dell’Aida ci fu infatti un vero e proprio incontro tra due mondi distanti – l’Egitto e l’Europa – riavvicinati dopo secoli dalla campagna di Napoleone Bonaparte del 1798. In Europa (e in una certa qual misura anche negli Stati Uniti) il fascino della civiltà faraonica, rivelata dall’intervento militare francese, portò l’Egittomania a irrobustirsi nella letteratura, nell’architettura, nella moda e anche nella musica. Sull’altra sponda del Mediterraneo, in un Egitto sempre più indipendente dalla Sublime Porta, la traumatica constatazione di una superiorità tecnica degli invasori sfociò in una serie di riforme, nell’affannato tentativo di colmare il divario con l’Occidente.

Tra i fautori più attivi di questa politica nella seconda metà dell’Ottocento, vi fu il khedivé Ismail Pascià, la cui figura è strettamente legata all’apertura del Canale di Suez, avvenuta come detto nel 1869. La grande carta topografica dell’Istmo di Suez in esposizione, realizzata nel 1872 dall’ingegnere francese Linant de Bellefonds, tecnico di fiducia del governo egiziano, restituisce un’impressione della grandiosità dell’opera e della vera e propria rivoluzione nei commerci e nelle comunicazioni mondiali che seguì la sua realizzazione.

Fu sempre Ismail Pascià a commissionare un’opera lirica espressamente ispirata all’antichità faraonica, da rappresentare proprio in occasione dell’apertura del Canale. Quella che diventerà nota con il nome di Aida nasce dunque da un soggetto originale elaborato da Auguste Mariette, a quei tempi direttore del Servizio delle antichità dell’Egitto. L’archeologo francese attinse alle più recenti e importanti scoperte del tempo – forse proprio a quelle cinque stele reali, ritrovate fortuitamente nel 1862 a Gebel Berkal, nell’attuale Sudan – scrivendo una vicenda lontana dalla tradizione dell’Egittomania, alle cui suggestioni si era abbeverata la produzione lirica del XVII e del XVIII secolo. Per evocare la fortunata attività egittologica di Mariette, culminata con la scoperta del Sarapeum di Saqqara e la prima organizzazione del Museo di Bulaq, è stata allestita una piccola selezione di reperti archeologici, tra i quali spicca una stele proveniente dal Serapeum, dedicata al toro Api dal sacerdote Horudja e attualmente conservata al Louvre di Parigi.

Dotato di un notevole talento nel disegno (come testimonia l’ampia selezione di caricature in esposizione), Mariette si occupò anche di realizzare i bozzetti degli abiti dei personaggi dell’opera, adattando l’iconografia egiziana, così come restituita dai bassorilievi, alle esigenze di scena. Vere e proprie opere d’arte sono i modelli in scala dei costumi di scena di Aida e di Radamès, creati in occasione della mostra dal Laboratorio di Sartoria del Teatro Regio di Torino partendo dai figurini originali dell’egittologo francese.

Affascinato dal lavoro di Mariette e forse anche persuaso dall’ingente compenso pattuito, dopo un iniziale rifiuto, Giuseppe Verdi accettò l’offerta del khedivè di comporre la musica per l’opera da lui desiderata. L’inclusione tra gli oggetti esposti a Torino di un’ampia sezione di documenti conservati presso l’Archivio Storico Ricordi di Milano, offre la rara opportunità di avere una chiara visione delle fasi che contraddistinsero la genesi dell’opera. Di eccezionale rilevanza la partitura autografa dell’Aida, la copia manoscritta della Sinfonia, scritta da Verdi per la prima della Scala ma all’epoca non eseguita, e altri documenti originali, concernenti oltre Verdi anche il librettista Antonio Ghislanzoni.

Una considerazione a parte merita il catalogo della mostra (Aida. Figlia di due mondi, Franco Cosimo Panini, pp. 212, € 24,00). Il volume si presenta come una raccolta di saggi curati da esperti nelle varie discipline, che hanno il gran merito di integrare e ampliare le tematiche toccate nell’esposizione. La brillante intuizione di concludere ogni intervento con un suggerimento di ascolto permette ai lettori di sperimentare in maniera più immersiva le suggestioni suggerite dalle parole degli autori. Rimarrà però deluso chi cerca una sezione consacrata alle schede degli oggetti in esposizione: il volume ne è totalmente sprovvisto.